Home Riduzione del canone locativo: quando l’agenzia delle entrate impone le tasse sul canone intero

Riduzione del canone locativo: quando l’agenzia delle entrate impone le tasse sul canone intero

La riduzione del canone di affitto richiede documentazione scritta e autenticata per evitare contestazioni fiscali, come stabilito dalla Corte di legittimità e dall’agenzia delle entrate.

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L'articolo analizza le difficoltà fiscali legate alla riduzione del canone di affitto nelle locazioni commerciali, sottolineando l'importanza di accordi scritti, documentati e autenticati per evitare accertamenti da parte dell'Agenzia delle Entrate. - Unita.tv

La questione della riduzione del canone di affitto riguarda molti proprietari e inquilini soprattutto nel campo della locazione commerciale. Si tratta di un’area delicata perché, anche se le parti si accordano per un abbassamento temporaneo del canone, gli effetti fiscali possono risultare complessi. L’agenzia delle entrate impone criteri precisi per considerare valida una diminuzione del canone ai fini delle imposte. Senza garanzie e documenti oggettivi, il rischio di dover pagare le tasse sull’intero canone originale resta alto. Di seguito una spiegazione dettagliata sulla situazione giuridica e fiscale riguardo le riduzioni del canone locativo, con un approfondimento sull’interpretazione della Corte di legittimità e le condizioni richieste per evitare accertamenti.

Accordo tra proprietario e inquilino: quali documenti sono necessari per ridurre il canone ai fini fiscali

Quando il proprietario di un immobile decide di ridurre il canone d’affitto insieme all’inquilino, la maggiore attenzione si concentra sulla prova di tale accordo. Per l’agenzia delle entrate la semplice intesa verbale non basta. Serve un documento scritto e datato che certifica la modifica temporanea del canone. Questo perché l’amministrazione fiscale deve poter verificare che il reddito effettivamente percepito sia inferiore rispetto a quello previsto nel contratto originario.

Un elemento pratico per attestare la riduzione del canone consiste in una scrittura privata firmata da entrambe le parti. La presenza di ricevute di pagamento che rispecchiano la nuova somma concordata aiuta a consolidare la posizione di chi ha praticato lo sconto. Senza queste garanzie, l’agenzia fiscale può decidere di far riferimento al canone totale riportato nel contratto, che resta il parametro principale per il calcolo delle imposte da versare. Nel caso in cui l’accordo abbia validità tributaria, la diminuzione del canone può portare a un abbassamento delle imposte sugli affitti dovuti dal proprietario.

La sentenza della corte di legittimità, l’agenzia delle entrate e il contrasto con la commissione tributaria

Un esempio significativo arriva da una sentenza recente, datata 24 aprile 2025, che riguarda due contribuenti cointestatari di un immobile. I due avevano ridotto il canone locativo del conduttore per tre mesi con una scrittura privata firmata l’11 maggio 2014. Nonostante la documentazione presentata con ricevute e accordo scritto, l’agenzia delle entrate ha notificato un accertamento fiscale contestando la dichiarazione dei redditi inferiore rispetto al canone originario.

La commissione tributaria, chiamata a giudicare l’istanza dei contribuenti, aveva ritenuto valida la documentazione e la riduzione come giustificata. La decisione però è stata ribaltata dalla Corte di legittimità, la quale ha accolto il ricorso dell’agenzia delle entrate e stabilito che anche i canoni non percepiti debbano essere considerati reddito tassabile nei contratti commerciali. Questa sentenza impone una riflessione sulla corretta tenuta delle pratiche e sulla riscossione delle imposte, compromettendo così la possibilità di ridurre l’imponibile semplicemente in base a accordi privati.

Quando il mancato incasso è esente da tassazione: le strade per evitare di pagare sull’intero canone

Per sfuggire all’obbligo di pagare imposte sul canone pieno, i proprietari hanno alcune possibilità limitate ma precise. Il primo modo è dimostrare che la mancata riscossione del canone non è frutto di semplice accordo o concessione temporanea ma è legata a una causa legale, come l’avvio di una procedura di sfratto per morosità. Questo può giustificare l’assenza di incassi e quindi evitare che la somma venga tassata come reddito.

Un’altra alternativa prevede la richiesta di recesso anticipato dal contratto sia da parte del proprietario che dell’inquilino, con relativa documentazione che evidenzia la cessazione del rapporto. Questo interrompe il diritto al canone e giustifica un calcolo fiscale basato solo sugli importi effettivamente percepiti.

Autenticazione della scrittura privata come prova certa del cambio di canone

Ciò detto, l’unica eccezione parzialmente riconosciuta si trova nella possibilità di autenticare la scrittura privata che attesti la riduzione, così da confermare una data certa e un accordo reale. Questa certificazione, se affidata a un pubblico ufficiale, acquista maggiore valore probatorio agli occhi dell’amministrazione fiscale. Accade perché l’autenticazione permette di evitare contestazioni sulla validità e temporaneità dell’accordo, dando una base oggettiva al cambiamento del canone. Lo scenario resta complesso specie per chi opera nel campo delle locazioni commerciali, dove la normativa fiscale mantiene requisiti molto rigidi.