Referendum abrogativi 2025: tensioni politiche e bassa affluenza in vista del voto di giugno
Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025 su lavoro e cittadinanza italiana si preannuncia incerto, con bassa affluenza prevista e divisioni politiche tra centrosinistra e centrodestra.

I referendum abrogativi del giugno 2025, centrati su lavoro e cittadinanza, vedono un acceso scontro politico tra centrosinistra favorevole al voto e centrodestra che invita all’astensione, con rischi elevati di bassa affluenza e validità incerta. - Unita.tv
I referendum abrogativi fissati per l’8 e 9 giugno 2025 richiamano l’attenzione su temi sensibili come il lavoro e la cittadinanza. A pochi mesi dal voto, cresce il dibattito politico e la preoccupazione per una possibile scarsa partecipazione degli elettori, che mette a rischio la validità della consultazione. Mentre i partiti si schierano in modo netto, il quadro politico mostra fratture e strategie diverse per influenzare il risultato. I sondaggi segnalano una partecipazione al voto ben sotto il quorum, facendone uno degli appuntamenti referendari più incerti degli ultimi anni.
Le divisioni politiche sul voto e le strategie di astensione o partecipazione
Nel clima politico attuale, il confronto tra centrosinistra e centrodestra si fa sempre più acceso in vista del voto referendario. Le forze di opposizione, tra cui il partito democratico e il movimento 5 stelle, promuovono la partecipazione al voto e sostengono il “sì” su tutti i quesiti, percependo la consultazione come un’occasione per intervenire su temi importanti come il lavoro e la cittadinanza italiana. Al contrario, molti esponenti del governo chiedono agli elettori di non recarsi alle urne, una tattica volta a impedire il raggiungimento del quorum, fissato al 50% più uno degli aventi diritto.
Questa linea di astensione, sostenuta soprattutto da partiti del centrodestra, ha creato un clima di tensione. I promotori dei referendum, come la Cgil e l’associazione italiani senza cittadinanza, parlano di un tentativo deliberato di ridurre l’importanza dell’appuntamento e di oscurare il dibattito pubblico. Le critiche si concentrano sul modo in cui le istituzioni hanno comunicato poco o male i contenuti della consultazione, ostacolando la formazione di un’opinione chiara tra i cittadini.
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Il partito democratico e le sue fratture interne sulla campagna
Il partito democratico, principale protagonista del fronte a favore dei “sì”, attraversa un periodo complesso sul piano elettorale. Rilevamenti recenti lo indicano sceso al 20,5%, una flessione che coincide con alcune tensioni interne sulla linea da tenere rispetto ai quesiti. Mentre ufficialmente il PD sostiene il voto favorevole su tutti i temi referendari, emergono dubbi e diverse posizioni fra le correnti interne. Il dibattito riguarda sia l’opportunità di fare campagna forte, sia la scelta delle priorità politiche da promuovere in questa fase, elemento che può influire sull’unità e sull’efficacia della mobilitazione elettorale.
Centrodestra: forte unità e strategia chiara verso l’astensione
Il centrodestra, che registra consensi attorno al 48%, mantiene una linea coerente e compatta: invitare all’astensione. Questa scelta risponde alla volontà di bloccare la validità del referendum, impedendo così modifiche legislative su questioni delicate. La compattezza di questo schieramento deriva dalla condivisione di interessi politici e dall’intesa strategica di contrastare i quesiti referendari. In questa ottica, la chiamata all’astensione rappresenta uno strumento politico per contenere la mobilitazione del centrosinistra e preservare lo stato attuale delle norme sul lavoro e la cittadinanza.
Affluenza attesa e risultati dei principali sondaggi
Le intestazioni dei sondaggi sulle intenzioni di voto dei cittadini per i referendum abrogativi sono poco incoraggianti per chi spera in un’alta partecipazione. L’indagine condotta da Demopolis indica che solo il 30% degli italiani conta di recarsi alle urne, mentre il 56% dichiara con fermezza di non voler partecipare, lasciando addirittura un 14% di indecisi[1]. Tali dati rendono probabile un’affluenza compresa tra il 31 e il 39%, nettamente al di sotto del quorum necessario.
Un sondaggio di Ipsos, riportato sul Corriere della Sera, conferma questa tendenza: appena il 18% degli intervistati vede probabile che metà degli aventi diritto voti, mentre il 42% prevede un’affluenza più bassa e un altro 40% preferisce non esporsi con previsioni precise[2]. La combinazione di incertezza e sfiducia si riflette nelle discussioni pubbliche, segnando un terreno difficile per chi vuole una consultazione valida.
La bassa affluenza mette in discussione non solo l’esito politico ma anche la legittimità della campagna referendaria stessa, alimentando discussioni su come coinvolgere maggiormente la popolazione e stimolare l’impegno civico.
I quesiti referendari: lavoro e cittadinanza sotto i riflettori
Il cuore della consultazione sono cinque quesiti, quattro legati al mondo del lavoro e uno alla cittadinanza italiana. Il tema della cittadinanza si presenta come quello più controverso tra i cittadini. L’obiettivo è semplificare l’accesso alla cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia, una misura che ha incontrato il favore soprattutto del centrosinistra. Il centrodestra invece critica la proposta, temendo che possa alterare l’identità nazionale e sollevare problemi di sicurezza, alimentando un acceso dibattito pubblico.
I quattro quesiti sul lavoro riguardano forme di contratto precario, la regolamentazione dei subappalti e le garanzie contro i licenziamenti senza giusta causa. Questi punti, promossi soprattutto dal sindacato Cgil, mirano a definire norme più rigide per tutelare i lavoratori da forme di sfruttamento e instabilità. A differenza della cittadinanza, su questi temi il consenso per il “sì” attraversa varie aree politiche, indicando un comune sentire sulle condizioni lavorative attuali.
Le critiche alla comunicazione e il ruolo dei promotori
I promotori dei referendum hanno puntato il dito contro le istituzioni per la scarsa informazione fornita alla popolazione. Secondo Cgil e italiani senza cittadinanza, i cittadini non sono stati messi in condizione di capire appieno i contenuti e l’importanza di ogni quesito, un difetto che indebolisce la partecipazione e rischia di far fallire la consultazione. Parallelamente, viene denunciata la scelta politica del governo e delle forze di maggioranza di incentivare l’astensione, definita una manovra per affossare il referendum.
Queste tensioni hanno contribuito a uno scenario di conflitto tra partiti e società civile, complicando il cammino verso una decisione chiara ed efficace. Il clima resta incerto, con l’opinione pubblica divisa e spesso poco coinvolta al momento in cui si avvicina la data del voto.
Possibile evoluzione della campagna referendaria e sfide future
L’avanzare della campagna referendaria potrebbe modificare gli orientamenti degli elettori. Secondo Ipsos, l’intensificarsi degli interventi pubblici e delle iniziative di sensibilizzazione può spingere il centrosinistra a rafforzare la mobilitazione, mentre potrebbe alimentare un certo scontento o disincanto nell’elettorato di centrodestra, chiamato a seguire l’ordine di astenersi. I promotori puntano a far crescere la consapevolezza sull’importanza delle questioni trattate.
Il 62% degli italiani riconosce l’importanza dei temi portati al voto, ma c’è ancora un 32% che non è informato sulla consultazione stessa. Questa mancanza di conoscenza rischia di pesare sull’affluenza. La sfida principale resta quindi coinvolgere una parte di popolazione ancora distante dalle urne, facendo capire che il risultato avrà impatti concreti sulla vita quotidiana di molti cittadini.
Il referendum 2025, tra divisioni politiche nette e forti ritrosie tra gli elettori, appare tuttora un appuntamento incerto. Il risultato finale dipenderà in larga misura dalla capacità dei vari attori coinvolti di mobilitare consenso e di far conoscere attraverso una campagna chiara i contenuti di un voto che può avere conseguenze profonde per il futuro della società italiana.