Referendum 2025 in bilico: affluenza incerta e dubbi sui quesiti secondo i sondaggi Mannheimer
A meno di tre settimane dal voto, i referendum abrogativi del 2025 affrontano una bassa affluenza prevista e dubbi sull’efficacia come strumento di democrazia diretta, nonostante un aumento della consapevolezza.

A poche settimane dal voto, i referendum abrogativi del 2025 mostrano alta conoscenza ma bassa partecipazione elettorale, con dubbi sul raggiungimento del quorum e sulla fiducia nel meccanismo referendario. - Unita.tv
A poche settimane dal voto dell’8-9 giugno 2025, i principali sostenitori dei cinque referendum abrogativi – Cgil, Pd e M5s – si confrontano con dati che mettono in dubbio il raggiungimento del quorum minimo necessario. I sondaggi evidenziano una crescita nell’informazione sui temi referendari, ma la propensione a recarsi alle urne resta bassa. Le preoccupazioni riguardano sia la partecipazione sia la percezione stessa del valore di questi referendum.
Il quadro attuale dell’interesse e dell’affluenza
Secondo il sondaggista Renato Mannheimer, emerge una situazione definita problematica per i referendum del 2025. La conoscenza dei cinque quesiti abrogativi ha raggiunto l’80% degli elettori, quasi il doppio rispetto a qualche mese fa, quando si attestava al 50%. Questo dato suggerisce un maggiore coinvolgimento mediatico e informativo, con dibattiti e campagne più attive sui contenuti.
Eppure, nonostante questa maggiore consapevolezza, l’affluenza prevista stenta a decollare. Le stime più recenti si fermano intorno al 35%, molto lontane dal 50% più uno necessario a validare il voto. Non poca gente dichiara apertamente di non voler votare: il 32,3% della popolazione intervistata si dice contrario a partecipare. Un altro 32,7% è invece indeciso nel decidere se andare al seggio o meno, a meno di tre settimane dall’apertura delle urne.
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La percentuale di coloro che rinunciano al voto si considera una forma di astensione che porta a un effetto “no”, senza però contribuire ad alzare il quorum. Un elemento che pesa in modo particolare sul destino delle consultazioni popolari, specie quando i temi sono complessi e la mobilitazione altalenante.
La divisione dell’elettorato e la fragile mobilitazione
Il consenso a partecipare si differenzia molto tra i vari blocchi politici. Gli elettori della Lega sono quelli meno propensi a votare: solo il 16% prevede di recarsi alle urne e quasi tutti sono orientati a votare no ai cinque quesiti. Nel centrodestra si registra una maggiore partecipazione, ma rimane sotto la soglia per la validità: Fratelli d’Italia è al 24,2%, Forza Italia si attesta intorno al 21,9%. Nel centrosinistra, spinto soprattutto dal Pd, le percentuali superano il quorum: il 63% degli elettori dem sembra intenzionato a votare, aiutando il fronte del sì.
Particolarmente rilevante è il quesito sulla cittadinanza italiana, che propone di ridurre i 10 anni di residenza legale attualmente richiesti a cinque. Questa proposta ha spinto una parte dell’elettorato Pd a mobilitarsi con maggior vigore, anche se non mancano spaccature interne. Alcuni esponenti riformisti puntano a concentrarsi solo su due quesiti, lasciando gli altri fuori dalla campagna referendaria. Questi elementi mostrano, oltre a differenze politiche, la difficoltà di trovare un consenso ampio e unitario sulle proposte poste al voto.
Il senso critico verso i quesiti e la sfiducia nel referendum
Il problema delle basse adesioni non è solo legato alla mancanza di interesse, ma anche a dubbi più profondi sull’efficacia dei referendum come strumento di democrazia diretta. Mannheimer sottolinea che l’erosione dell’appeal di questi voti è un fenomeno che si è consolidato negli ultimi anni, quando nessuna consultazione referendaria è riuscita a superare il quorum richiesto.
L’utilizzo frequente dei referendum, accompagnato dalla complessità e dalla scarsa chiarezza di alcuni quesiti, rende difficile per molti elettori farsi un’opinione chiara, aumentando la riluttanza a partecipare. Questo limita anche l’impatto reale di queste consultazioni popolari, che con affluenze basse perdono autorevolezza e significato.
Le elezioni del 2025 come verifica più ampia
I referendum del 2025 rappresentano quindi una verifica non solo sulle singole questioni del lavoro e della cittadinanza, ma anche sulla capacità del meccanismo referendario di coinvolgere davvero i cittadini e di orientare decisioni concrete sulle politiche nazionali. Gli esiti dell’8 e 9 giugno potrebbero sancire un ulteriore cambio di passo nel rapporto tra elettori e strumenti di democrazia diretta in Italia.