Pietro ichino critica referendum lavoro giugno 2025: quesiti tecnicamente errati e rischiosi per diritti
Pietro Ichino critica i referendum del 2025 su lavoro e cittadinanza, definendoli un boomerang per i diritti. Sostiene la necessità di riforme concrete e flessibili nel mercato del lavoro italiano.

Pietro Ichino critica duramente i quattro referendum sul lavoro promossi dai sindacati, definendoli un boomerang che riduce le tutele, tranne per la riforma sulla cittadinanza ai bambini nati in Italia, su cui esprime parere favorevole. - Unita.tv
L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a votare su quattro referendum promossi da Cgil e sindacati di base riguardanti norme fondamentali sul lavoro. Pietro Ichino, giuslavorista con lunga esperienza e ex senatore Pd, ha espresso duri giudizi su queste proposte. Ha definito i quesiti un boomerang che promette diritti ma in pratica li riduce o nega, smontandoli uno a uno sia sul piano tecnico che sociale. Solo su un tema, quello della cittadinanza per i bambini nati in Italia, ha espresso parere favorevole.
Il primo e il secondo quesito: licenziamenti e applicazione articolo 18
Il primo quesito si propone di abrogare il decreto del 2015 sui licenziamenti collettivi, per tornare alla legge Fornero. Ichino osserva che questa “marcia indietro” non modifica realmente la tutela contro i licenziamenti illegittimi. Il sistema resterebbe simile e addirittura l’indennizzo minimo diminuirebbe da 36 a 24 mensilità in certi casi. La promessa del ritorno dell’articolo 18 viene definita un’illusione: la reintegrazione riguarderebbe appena il 2% dei casi e quindi è una tutela limitata.
Il secondo quesito interviene sull’articolo 18 eliminando il tetto dimensionale per la sua applicazione nelle piccole imprese. Questo provoca un paradosso che – spiega Ichino – si traduce in un’assenza di coerenza: mentre per le aziende grandi si riduce il campo di applicazione, nelle piccole imprese invece si cancella il limite imposto. Quindi i lavoratori delle Pmi otterrebbero, per assurdo, protezioni più estese senza un criterio uniforme. Questo crea confusione e divarica le tutele sul territorio.
Terzo quesito: l’obbligo della causale e le conseguenze giuridiche
Il terzo quesito mira a reintrodurre l’obbligo di indicare la causale per i contratti a termine fino a 12 mesi. Ichino giudica questa proposta un potenziale boomerang. Motivare sempre la causale provocherebbe un aumento massiccio di ricorsi e contenziosi nei tribunali del lavoro. A guadagnarne sarebbero solo gli avvocati, mentre le imprese e i lavoratori si troverebbero in un sistema più complicato e litigioso.
Inoltre, ricorda che da quando sono stati introdotti limiti quantitativi e norme più chiare, i contratti a termine precari sono diminuiti del 40% nell’ultimo decennio. Tornare alla vecchia prassi causale significherebbe sacrificare questo risultato consolidato, finendo per aggravare un sistema che invece doveva ridursi e semplificarsi.
Quarto quesito: responsabilità sulla sicurezza negli appalti e implicazioni per i committenti
Il quarto quesito vuole modificare la responsabilità in materia di sicurezza nei contratti di appalto eliminando l’eccezione che oggi protegge il committente contro i rischi tecnici dell’appaltatore. Ichino parla di un’idea assurda e priva di senso: un’azienda che affida lavori a una ditta specializzata non dovrebbe farsi carico legalmente di errori che non può controllare o prevenire direttamente.
Estendere la responsabilità al committente cancellerebbe un principio di separazione funzionale e aumenterebbe incertezza e contenziosi inutili, senza alcun beneficio concreto per la sicurezza sul lavoro. La posizione di Ichino guarda a un equilibrio tra tutela e realtà operativa delle imprese.
Unico sì: il referendum sulla cittadinanza ai bambini nati in italia
L’unico quesito via libera da Ichino riguarda la riforma della cittadinanza per i bambini nati in Italia da genitori stranieri. Qui il giuslavorista tocca il tema etico e sociale affermando che i più piccoli devono avere gli stessi diritti senza rimanere incastrati in lunghe e tortuose procedure burocratiche.
Questa posizione si distanzia nettamente dal giudizio sugli altri quesiti legati al mercato del lavoro e racchiude un’idea chiara: la tutela dei diritti civili non può dipendere da barriere amministrative e deve essere garantita fin dalle origini per promuovere l’inclusione.
Quali traumi e conseguenze evidenzia ichino sulla visione del lavoro attuale
Ichino critica duramente l’uso della parola “referendum” usata a fini ideologici. La disputa viene rappresentata come uno scontro tra imprese e lavoro, una contrapposizione che danneggia entrambi. L’articolo 18, nato in un’epoca in cui il posto fisso era la norma, non risponde più alle esigenze di un mercato del lavoro profondamente cambiato.
Nel modello attuale serve pensare a tutele più flessibili e adatte al nuovo scenario. Ichino indica nel Jobs Act del 2015 un esempio di cambiamento concreto, con norme chiare che hanno ridotto la precarietà. La sua idea è garantire indennizzi trasparenti senza appesantire il sistema con cause legali continue che danneggiano soprattutto le piccole imprese, costrette a sostenere costi elevati, e le grandi a rimanere sotto certe soglie per evitare oneri.
Riflessioni su produttività, formazione e clima di lavoro in italia rispetto alla germania
Nel confronto con la Germania emerge un dato importante: lì, anche con tutele rigide, l’industria ha sviluppato un sistema basato su formazione e dialogo continuo fra parti sociali. Questo ha evitato conflitti legali e facilitato investimenti nella crescita.
In Italia, al contrario, la litigiosità e il ricorso frequente ai tribunali scoraggia le assunzioni e blocca le opportunità di lavoro. I giovani finiscono per cercare fortuna all’estero. Ichino sottolinea che il vero nodo è creare un ambiente meno conflittuale e più orientato alla collaborazione.
Appello finale di ichino alla sinistra e proposta per il futuro del lavoro
Ichino chiama la sinistra a superare derive populiste e slogan facili. Per lui la partecipazione reale dei lavoratori passa solo dal coinvolgimento concreto dei sindacati nella gestione delle imprese e non da leggi punitive o referendum strumentali.
La nuova normativa sulla rappresentanza è vista come un primo passo, ma serve coraggio per abbandonare semplificazioni retoriche e puntare su riforme di lungo termine come la revisione del welfare e la riduzione del carico fiscale sul lavoro. Solo così si disegnerà un quadro di tutele sostenibili e funzionali alle esigenze di un mondo del lavoro mutato.