nuova udienza per l’omicidio di sofia stefani con testimonianze chiave in tribunale
Il processo per l’omicidio di Sofia Stefani continua con nuove testimonianze che mettono in discussione la versione dell’imputato Giampiero Gualandi, ex comandante della polizia locale di Anzola.

Il processo per l’omicidio di Sofia Stefani, ex vigilessa, vede l’unico imputato Giampiero Gualandi, ex comandante della polizia locale, contestare la sua versione accidentale, mentre nuove testimonianze e analisi scientifiche mettono in dubbio la dinamica dell’incidente. - Unita.tv
Il processo per l’omicidio di Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa uccisa lo scorso maggio, ha visto ieri un’importante udienza in cui sono emerse nuove testimonianze e dettagli sull’accaduto. L’unico imputato resta Giampiero Gualandi, ex comandante della polizia locale di Anzola. Il caso, seguito con attenzione anche per via del rapporto personale tra vittima e accusato, si arricchisce ora di dichiarazioni che mettono in discussione le prime ricostruzioni dell’incidente fatale.
Il racconto del carabiniere arrivato per primo sulla scena del crimine
In aula è stata sentita la testimonianza di Marco Benassi, carabiniere esperto in investigazioni scientifiche a Bologna, uno dei primi ad accedere al luogo del delitto, la mattina del 16 maggio 2024. Ha descritto cosa si è trovato davanti nel comando di polizia locale ad Anzola dove Sofia Stefani fu raggiunta da un colpo di pistola al volto sparato dall’arma di Gualandi. Benassi ha raccontato come la scena mostrasse segni che non tornano con la versione dell’episodio come incidente durante la pulizia dell’arma.
Secondo il carabiniere, l’arma non era stata pulita da poco, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato. L’arma presentava polvere e sporco residuo mentre il caricatore era inserito e pronto alla sparatoria. Il kit per la pulizia trovato sul posto mancava di alcune componenti indispensabili, rendendo così difficile l’ipotesi che il colpo sia partito durante la manutenzione dell’arma.
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L’aspetto più rilevante, però, riguarda l’atteggiamento di Gualandi al momento dell’intervento. Benassi ha descritto un comportamento privo di emozioni, quasi distaccato e freddo davanti alla morte della collega e alle immagini della scena. Questo atteggiamento ha colpito i presenti, perché difficile da giustificare con un evento accidentale e tragico.
Le discrepanze della versione difensiva sulla dinamica del delitto
La difesa continua a sostenere che lo sparo sia stato un incidente, scaturito da una colluttazione fra i due mentre Gualandi stava pulendo la pistola d’ordinanza. Questa versione non trova riscontro nelle prove raccolte, specialmente nelle parole del carabiniere Benassi che ha escluso la possibilità di una lotta fisica in quella stanza.
Sulle mani dell’imputato non sono state trovate ferite o graffi, elementi fondamentali per confermare un contatto fisico violento. Gli oggetti per la pulizia dell’arma non erano completi e l’arma stessa non era stata toccata recentemente, segno che non si stava eseguendo quella manutenzione al momento dello sparo.
A questo si aggiunge il fatto che lo sparo è partito a pochi centimetri da Sofia Stefani, ferendola mortalmente al volto. L’ipotesi della colluttazione che ha causato un colpo casuale sembrerebbe dunque poco plausibile, secondo gli esperti ascoltati in aula. Lo scenario fa emergere contraddizioni che il processo cercherà di chiarire con ulteriori accertamenti.
La testimonianza dei familiari e l’impatto emotivo in aula
Alla presenza dell’imputato erano presenti i genitori di Sofia Stefani, che non hanno rinunciato a seguire ogni seduta del processo, affrontando la visione delle foto del corpo della figlia. Le immagini mostravano il volto sfigurato dalla ferita da arma da fuoco, una visione che ha provocato grande dolore soprattutto nella madre, fotografata mentre si copriva il volto con le mani.
La drammaticità del momento ha confermato quanto la vicenda sia segnata da un profondo lutto e sofferenza umana, sfondo costante delle udienze. La moglie di Gualandi ha invece provato a difendere il marito, sostenendo la sua innocenza e il suo racconto dell’incidente.
In aula è arrivato anche il contributo degli amici e delle persone vicine a Sofia, tra cui il fidanzato e una persona che in passato ha avuto una relazione affettiva con lei. Queste testimonianze hanno cercato di raccontare il rapporto tra la vittima e l’imputato, per capire il contesto personale in cui è maturata la tragedia.
Analisi scientifiche e il ruolo del genetista emiliano giardina nel processo
L’udienza ha visto la partecipazione del Ris di Parma che ha illustrato i risultati delle analisi biologiche effettuate sul materiale raccolto in ufficio durante i rilievi. Tra gli elementi presi in considerazione ci sono frammenti di capelli trovati su un fermacapelli nella stanza, che potrebbero fornire indizi utili sulla dinamica dell’evento.
Tra le figure più attese in aula c’è stato il genetista Emiliano Giardina, noto per aver partecipato a perizie di rilievo come nel caso di Garlasco. Giardina ha svolto una super perizia sul dna rinvenuto nella scena del delitto, incarico che oggi lo vede impegnato nel tentativo di individuare elementi a sostegno della difesa di Gualandi.
Il genetista ha spiegato in modo dettagliato i metodi scientifici adottati e i risultati ottenuti finora. Il suo contributo si concentra nel mettere in relazione i profili genetici con i soggetti presenti sulla scena, con l’intento di chiarire ogni dubbio emerso nei giorni precedenti.
Il processo di Anzola prosegue quindi con ulteriori accertamenti tecnici e testimonianze, mentre il lavoro scientifico resta essenziale per la ricostruzione dei fatti. L’attenzione resta alta sia per la complessità emotiva che circonda il caso, sia per le incongruenze finora emerse nelle ricostruzioni ufficiali.