nuova indagine sull’omicidio del giudice antonino scopelliti tra accertamenti biologici e sospetti tra mafia e ’ndrangheta
Nuove indagini sull’omicidio di Antonino Scopelliti rivelano collegamenti tra Cosa Nostra e ’Ndrangheta, con accertamenti biologici che potrebbero portare a importanti sviluppi nel caso irrisolto da oltre trent’anni.

L’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, avvenuto nel 1991 e legato a Cosa Nostra e ’Ndrangheta, è stato riaperto con nuove indagini e accertamenti biologici che potrebbero finalmente chiarire mandanti ed esecutori dopo oltre trent’anni. - Unita.tv
L’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, un caso rimasto irrisolto da oltre trent’anni, torna sotto i riflettori con nuovi accertamenti della procura. Le investigazioni riprese dal 2012 hanno riaperto il dossier, facendo emergere un possibile intreccio tra Cosa Nostra e ’Ndrangheta. Le novità più recenti riguardano accertamenti biologici irripetibili su tracce trovate sull’auto della vittima, indicati come potenziali prove decisive. L’indagine ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di numerosi esponenti mafiosi, confermando che l’omicidio rimane uno dei capitoli più oscuri nella storia della lotta alla criminalità organizzata in Italia.
Il contesto dell’omicidio di antonino scopelliti e la sua figura pubblica
Antonino Scopelliti era un magistrato di alto profilo, impegnato in alcuni casi giudiziari tra i più delicati e importanti degli anni Ottanta e inizio Novanta. Noto per aver lavorato su vicende come il rapimento di Aldo Moro e la strage di Piazza Fontana, Scopelliti si trovava al centro di scenari molto complessi. Il 9 agosto 1991 fu assassinato in Calabria, a Piale, mentre era in vacanza. Pochi giorni dopo avrebbe dovuto partecipare a una sessione della Corte di Cassazione per discutere le conferme delle condanne del maxiprocesso contro Cosa Nostra. L’omicidio avvenne in un contesto caratterizzato da tensioni altissime tra lo Stato e le organizzazioni mafiose.
Il fatto che il giudice fosse una figura scomoda per le mafie alimentò subito sospetti sull’origine criminale del delitto. L’assassinio fu attribuito, fin dall’inizio, a una probabilissima ritorsione da parte di Cosa Nostra, ma le prove non consentirono mai di assegnare con certezza mandanti ed esecutori materiali. Questo mancato chiarimento mantenne il caso aperto per anni, alternando fasi di stallo e momenti di attenzione mediatica e investigativa. Anche la zona del delitto, un’area della Calabria nota per la presenza della ’Ndrangheta, mise in luce possibili collegamenti tra le diverse organizzazioni malavitose.
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Indagini riprese dal 2012 e i nuovi sviluppi investigativi
Dopo anni di quasi totale immobilismo, l’inchiesta ebbe una svolta importante nel 2012 grazie alla testimonianza del pentito Antonino Fiume, affiliato a Cosa Nostra. Fiume indicò che l’omicidio non era un atto isolato della mafia siciliana ma avrebbe visto la partecipazione di due persone legate alla ’Ndrangheta di Reggio Emilia. Non fornì però nomi specifici, lasciando ancora aperti molti dubbi su ruoli e responsabilità precise.
Il quadro divenne più chiaro sette anni dopo, nel 2019, con la confessione di Maurizio Avola, altro pentito di mafia. Avola dichiarò di esser stato l’autista della moto affiancata all’auto del magistrato durante l’agguato. “Ha ammesso pure di essere stato lui a sparare i colpi che uccisero Scopelliti.” La sua collaborazione portò al ritrovamento dell’arma del delitto, nascosta e sepolta per decenni. Questi elementi permisero alla procura di iscrivere nel registro degli indagati 24 figure legate a Cosa Nostra e ’Ndrangheta, includendo diversi boss noti, alcuni dei quali deceduti o non imputabili.
Questa prospettiva rafforzò la tesi di un patto tra le mafie, al fine di contrastare la giustizia rappresentata da Scopelliti. È emerso, infatti, un intreccio tra clan siciliani e calabresi per gestire un’azione coordinata, che superava i confini geografici tradizionali. La complessità di dettagli e implicazioni rende il caso uno dei più rilevanti nella storia recente della criminalità organizzata in Italia.
Gli accertamenti biologici irripetibili e le prospettive dell’inchiesta
Una fase decisiva in corso riguarda gli accertamenti di natura biologica ordinati dalla procura in relazione a tracce rinvenute sull’automobile di Antonino Scopelliti. Questi esami saranno definiti “irripetibili” perché riguardano campioni unici, dai quali si può ricavare materiale biologico utile a identificare o escludere potenziali responsabili. Tale procedura si rivela spesso fondamentale nelle inchieste per omicidio, specialmente dopo lunghi anni.
Nel caso specifico, la perizia punta a verificare se il DNA raccolto possa collegare in modo diretto uno o più degli indagati al luogo del delitto e ai momenti dell’agguato. Questo tipo di prova potrebbe consentire di superare alcune ambiguità accumulate nel tempo e di appoggiare in modo concreto le confessioni raccolte attraverso i pentiti. Se gli accertamenti confermeranno corrispondenze decisive, l’inchiesta potrebbe segnare un punto di svolta verso l’individuazione dei mandati e degli esecutori.
Attenzione sugli indagati e impatto giudiziario
L’attenzione degli inquirenti si concentra su 20 persone al momento indagate, a cui sarà notificata l’esclusività di tali controlli biologici. Questa fase ha acceso un nuovo interesse nel mondo giudiziario e ha portato a ipotizzare che, finalmente, le prime condanne possano essere pronunciate entro tempi brevi. La famiglia del giudice, che ha atteso per decenni una risposta, segue con attenzione questi sviluppi.