Nuova indagine sulla morte di Antonino Scopelliti dopo 34 anni, indagini puntano a legami tra ‘ndrangheta e cosa nostra
Le nuove indagini della Dda di Reggio Calabria riaprono il caso dell’omicidio di Antonino Scopelliti, rivelando legami tra ‘ndrangheta e cosa nostra e coinvolgendo figure chiave come Totò Riina e Matteo Messina Denaro.

La riapertura delle indagini sull’omicidio del magistrato Antonino Scopelliti svela la collaborazione tra mafia siciliana e ’ndrangheta, evidenziando il coinvolgimento di boss storici e nuove rivelazioni su una rete criminale organizzata contro lo Stato. - Unita.tv
La morte di Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale della Cassazione, ha rappresentato un episodio cruciale nella lotta alla mafia. Avvenuta il 9 agosto 1991, lungo la strada tra Villa San Giovanni e Campo Calabro, questa vicenda torna al centro dell’attenzione grazie a un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria. Le nuove indagini si concentrano sui vertici delle ’ndrine calabresi e sui loro intrecci con i boss di cosa nostra siciliana, ricostruendo una rete criminale che lega i due mondi malavitosi.
La figura di antonino scopelliti e il contesto dell’omicidio
Antonino Scopelliti era un magistrato di primo piano nella storia della giustizia italiana, noto per il suo ruolo decisivo durante il primo maxiprocesso a cosa nostra a Palermo. La sua fermezza e la posizione delicata che stava per assumere avevano acceso l’attenzione delle organizzazioni criminali. La sua morte rappresentò un colpo mirato contro uno Stato che stava mettendo a dura prova i clan mafiosi.
Il giorno dell’agguato, Scopelliti si stava spostando dopo una giornata passata sulla Costa Viola, destinazione il Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria. Quello che accadde sulle strade tra Villa San Giovanni e Campo Calabro fu un assalto pianificato nei minimi dettagli, con la sua auto bloccata da un gruppo di killer in sella a una Honda Gold Wing. Vennero sparati 13 colpi, con sei proiettili che raggiunsero il magistrato. Fu un messaggio forte della criminalità al sistema giudiziario.
Leggi anche:
Le nuove indagini puntano ai boss delle ‘ndrine e a totò riina
A distanza di più di trent’anni, la Dda di Reggio Calabria ha riaperto il caso. Le accuse riguardano figure di rilievo tra le cosche calabresi, come Pasquale Condello detto “il supremo“, Giuseppe De Stefano, Giuseppe Morabito, Luigi Mancuso e Giuseppe Zito, quest’ultimo con legami alle famiglie di Archi, nella zona di Milano. Oltre a loro, spicca il coinvolgimento di Totò Riina, boss storico di cosa nostra, che secondo i documenti della procura avrebbe partecipato alla decisione di eliminare Scopelliti durante una riunione a Trapani nella primavera del 1991.
Il particolare che emerge dalle indagini riguarda la collaborazione tra mafia siciliana e ’ndrangheta, dove i siciliani avrebbero messo in atto materialmente l’assassinio, mentre i calabresi avrebbero garantito informazioni, coperture e logistica. Lo scambio tra le due organizzazioni contribuì a organizzare un’azione precisa e letale.
Il ruolo di matteo messina denaro e il coinvolgimento di altri pentiti
Le ricostruzioni si basano in buona parte sulle rivelazioni di Maurizio Avola, uno dei pentiti che confessò la propria partecipazione diretta all’agguato in compagnia di Vincenzo Salvatore Santapaola. Secondo gli inquirenti, anche Matteo Messina Denaro, allora giovane esponente in ascesa di cosa nostra, avrebbe preso parte all’attacco seguendo le direttive di Riina. Questo dettaglio aggiunge un ulteriore tassello sul ruolo centrale di Messina Denaro in operazioni di alto livello fin dai primi anni Novanta.
Un altro elemento importante è il nome di Salvo Lima, politico della Democrazia Cristiana ucciso nel 1992, chiamato in causa perché avrebbe fornito ai boss particolari riservati sulla vita e sugli spostamenti di Scopelliti. L’ipotesi difatti suggerisce una rete di informazioni che ha facilitato la preparazione dell’agguato.
La ricostruzione minuto per minuto dell’agguato
Nella ricostruzione dettagliata della squadra mobile di Reggio Calabria, emerge un quadro preciso dell’attacco. Gli esecutori materiali, in sella a una Honda Gold Wing, bloccarono la BMW di Scopelliti mentre percorreva la strada. Vennero sparati 13 colpi di arma da fuoco, di cui sei colpirono mortalmente il magistrato. Le indagini sottolineano che l’operazione fu seguita da un convoglio di auto, tra queste un’Alfa Romeo 164 con a bordo Matteo Messina Denaro.
L’esecuzione non fu improvvisata, ma studiata per neutralizzare un bersaglio che rappresentava una minaccia reale ai piani criminali. Il fatto che gli autori dell’operazione fossero così organizzati riflette una pianificazione criminale di alto livello.
Le indagini attuali e il tessuto dei legami tra ‘ndrine e cosa nostra
Il lavoro investigativo della procura di Reggio Calabria, guidata da Giuseppe Lombardo, ha fatto un passo in avanti importante, anche attraverso perquisizioni a Messina e accertamenti sui boss reggini. Un nome chiave in questa rete è Franco Coco Trovato, indicato come una figura ponte tra le cosche siciliane e quelle calabresi.
Per ricostruire il delitto, la procura ha utilizzato mezzi particolari, tra cui auto e moto d’epoca, cercando di riprodurre nella maniera più accurata possibile la scena del crimine. L’indagine conferma che l’omicidio di Scopelliti non fu solo una vendetta o un regolamento di conti, ma una strategia per colpire uno Stato che combatteva le organizzazioni mafiose nel momento di maggiore potere.
Questo nuovo capitolo nelle indagini offre elementi che possono modificare la comprensione di quel periodo e svelare in modo più chiaro le alleanze tra mafia siciliana e ’ndrangheta, ampliando la conoscenza su come questi gruppi si sono mossi per ostacolare la giustizia.