Nel pd la sfida sulla leadership passa dal referendum: scontro tra anime e tensioni sindacali nel 2025
Il referendum nel Partito Democratico rappresenta una sfida cruciale per ridefinire la direzione politica e le alleanze, influenzando il futuro del lavoro e l’identità della sinistra in Italia.

Il referendum interno al Partito Democratico del 2025 rappresenta uno scontro decisivo sul diritto del lavoro, riflettendo profonde divisioni tra correnti sindacali e politiche che influenzeranno la direzione e l’identità futura del partito. - Unita.tv
Il referendum promosso all’interno del Partito democratico diventa terreno cruciale per definire la direzione politica e il tipo di rappresentanza da offrire ai lavoratori. Nel 2025, la segreteria nazionale prova a ricollegarsi alla tradizione della Cgil, cercando di rafforzare il legame con il sindacato e con i ceti produttivi che rappresentano una parte significativa della base elettorale del partito. Questa tensione interna riflette un confronto difficile, che può influenzare non solo l’elettorato, ma anche lo stesso equilibrio al centro della politica di sinistra.
Il ruolo del referendum nel confronto interno al pd
Il nodo del referendum riguarda la possibilità di rimettere mano alle norme sul diritto del lavoro introdotte negli ultimi anni, in particolare quelle modificate dal governo Renzi. Il tema centrale riguarda la cosiddetta tutela reale, che garantisce ai lavoratori delle imprese medie e grandi il diritto alla reintegra in caso di licenziamento ingiustificato. Questa mossa mira a ristabilire una forma di protezione più rigida, rivolta a un elettorato composto soprattutto da lavoratori dipendenti.
Il quesito referendario, in questo senso, oltre a rivestire un valore giuridico, ha una forte componente politica. Intende agire come catalizzatore per l’elettorato della sinistra, specialmente quelli con interessi diretti nei temi del lavoro e dei diritti sociali. La battaglia sulla cittadinanza dopo cinque anni, insieme a questo referendum sul diritto del lavoro, dovrebbe richiamare alle urne fasce di popolazione tradizionalmente legate al Pd attraverso l’appartenenza di classe e le condizioni produttive di vita.
Obiettivi e divisioni interne
L’obiettivo dei promotori non sembra essere solo raggiungere il quorum necessario per modificare le norme, ma creare un blocco di consenso determinato a spostare il partito verso un posizionamento più chiaro e politico. Al momento però, questa linea è seguita da solo una parte della leadership dem, poiché all’interno ci sono posizioni molto diverse rispetto al futuro delle relazioni industriali.
La spaccatura tra sindacati e i suoi riflessi nel pd
Mentre la Cgil si colloca in una posizione più dura e conflittuale, tentando di riaffermare i diritti tradizionali dei lavoratori, la Cisl lavora in una direzione differente. Il recente via libera a una legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, voluta proprio dalla Cisl, segna un approccio più moderato e collaborativo rispetto al governo e alle istituzioni.
Questa differenza fra i maggiori sindacati italiani finisce per riflettersi con forza anche nel Pd. Le correnti più moderate, legate spesso alla tradizione cattolico-democratica rappresentata da figure del passato come Marini o d’Antoni, guardano con diffidenza al referendum e alle strategie più dure della segreteria. Loro vedono rischi di isolamento e una chiusura verso dialoghi e soluzioni più attuali ai problemi del lavoro.
Il significato politico della sfida referendaria al pd
Per i promotori del referendum, il traguardo non è solo tecnico. Non puntano solo a ottenere i numeri per abrogare le norme attuali. Desiderano costruire uno spaccato dell’elettorato che consenta di capire chi è ancora disposto a mobilitarsi sui temi tradizionali del lavoro. Se il “Sì” venisse sostenuto da milioni di persone, il gruppo dirigente alla guida della campagna ne ricaverebbe una fotografia molto chiara del proprio bacino elettorale, utile in vista delle prossime elezioni politiche.
Possibili scenari futuri
In questa ipotesi, l’ala più dura del partito potrebbe spingere l’agenda sempre più verso posizioni antagoniste, escludendo di fatto i moderati. Al contrario, se l’astensione prevalesse e i votanti si fermassero a pochi milioni, diventerebbe evidente quanto la linea proposta sia distante dalle attese di gran parte dei sostenitori del Pd.
In questo secondo caso, le tensioni interne salirebbero ai massimi livelli, spingendo le correnti moderate a chiedere un ripensamento radicale della strategia politica e una sorta di separazione dagli esponenti dell’ex Partito comunista. Già da ora si profilano ipotesi per un cambio di gruppi o addirittura per la formazione di nuove sigle, con un allontanamento progressivo delle componenti più moderate dall’asse della sinistra tradizionale.
La contrapposizione storica e le alleanze future nel pd
Alle radici di questo scontro c’è una differenza di visione del Pd e del suo rapporto con la società. La segreteria attuale punta a recuperare un’identità ancorata al passato sindacato e al mondo della produzione, una scelta che implica un ritorno a riferimenti di classe netti. Di fatto, rinuncia a una componente moderata, più urbana e meno legata a queste storie.
Questa linea crea uno strappo con la parte centrista del partito, che invece continua a guardare a una tradizione democratica cristiana, meno conflittuale e maggiormente aperta a modelli di governo partecipativi e a relazioni industriali meno antagoniste.
Direzione politica e futuro del partito
Il confronto si sposta quindi sulla direzione politica del Pd e sulla natura delle alleanze che potrà rafforzare o rompere. Da queste scelte dipenderanno le alleanze con altre forze di sinistra o con gruppi più centristi, e in ultima analisi la capacità del partito di restare competitivo o di frammentarsi ulteriormente.
La partita del referendum nel Pd segna dunque un momento delicato, in cui si mette in gioco non solo una norma del lavoro, ma la stessa identità e futuro politico del partito di sinistra più importante in Italia.