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Negoziati ucraina-russia bloccati, lavrov esclude il vaticano e putin annuncia zone cuscinetto militari

La crisi tra Ucraina e Russia si intensifica, con Lavrov che rifiuta negoziati in Vaticano e Putin che annuncia zone cuscinetto per proteggere i confini russi da attacchi.

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La crisi tra Russia e Ucraina resta bloccata, con negoziati diplomatici improbabili e un'intensificazione delle tensioni militari, mentre si cercano sedi alternative per i colloqui e si moltiplicano le iniziative di difesa e supporto europeo. - Unita.tv

La crisi tra Ucraina e Russia sembra allontanarsi da qualsiasi soluzione diplomatica. Negli ultimi giorni il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha chiarito la sua posizione, scartando l’ipotesi di negoziati in Vaticano, mentre Vladimir Putin ha dichiarato di voler istituire zone cuscinetto per tutelare le frontiere russe da ulteriori attacchi. Il quadro diplomatico resta in stallo, con poche speranze di ripresa nei colloqui, mentre il conflitto prosegue sul terreno militare.

La bocciatura di lavrov ai negoziati in vaticano e la difficoltà di individuare un luogo neutrale

Sergei Lavrov ha negato con decisione l’ipotesi di una trattativa tra Russia e Ucraina ospitata nel Vaticano. Secondo lui, sarebbe «scomodo» e «irrealistico» pensare che due paesi ortodossi trovino un terreno comune in quello Stato, che ha un carattere religioso differente e una storia diplomatica distante da quella dei negoziati internazionali. Il Vaticano, infatti, non ha mai assunto un ruolo visibile come sede di trattative per conflitti moderni, e la sua posizione di neutralità non è riconosciuta in modo operativo come quella di altri stati.

Un altro ostacolo è rappresentato dal fatto che qualsiasi delegazione russa dovrebbe attraversare l’Italia per raggiungere la Santa Sede. Italia sostiene ufficialmente l’Ucraina e ha imposto sanzioni contro Mosca, rendendo difficile un passaggio pacifico di rappresentanti russi senza complicazioni diplomatiche o politiche. Storie recenti dimostrano che i negoziati di pace o disarmo sono spesso tenuti in stati neutrali, come accadde con la Conferenza di Helsinki del 1975, svoltasi in Finlandia, paese allora considerato imparziale.

Città alternative per i negoziati

Di conseguenza, molte voci guardano a città come Istanbul, dove la Turchia, pur entrando nella Nato e avendo fornito supporto militare agli ucraini, mantiene un dialogo aperto con i russi. Per il Cremlino, questo contesto rappresenta un’opzione dal doppio valore: pratico, perché permette un canale di comunicazione, e simbolico, dato che proprio nella capitale turca si era tentato un piano di pace nel 2022. Tuttavia, a Istanbul i negoziati avvengono già in un quadro complicato, visto il ruolo ambiguo e gli interessi contrastanti in gioco.

Le zone cuscinetto di putin, una mossa militare per prevenire nuove incursioni

In risposta alle recenti incursioni ucraine, soprattutto quella avvenuta a Kursk, Putin ha annunciato l’intenzione di creare delle zone cuscinetto su territori russi come Sumy. La motivazione ufficiale è la protezione delle aree di confine da attacchi improvvisi, che stanno provocando preoccupazione a Mosca. Le zone cuscinetto dovrebbero servire come una fascia di territorio controllata direttamente dall’esercito russo, finalizzata a prevenire penetrazioni militari occidentali o ucraine.

Questa idea non nasce da un’agenda negoziale, bensì da una necessità militare immediata. Le forze russe sembrano aver subito una serie di attacchi inaspettati nelle ultime settimane, rivelando vulnerabilità lungo la frontiera. Gli analisti militari segnalano concentrazioni di truppe nella zona di Kharkiv, dove è probabile attendersi operazioni offensive o difensive più incisive da parte russa.

Una strategia per il controllo territoriale

Putin sembra dunque puntare a una soluzione di contrasto più che a un dialogo. La creazione di aree demilitarizzate o di «buffer zone» appare più come una strategia per espandere la propria area di controllo piuttosto che un segnale di pace. L’esercito ucraino, infatti, in alcune regioni ha perso la capacità di opporre una resistenza significativa, anche per le difficoltà logistiche e di rifornimento, situazione che agevola le manovre russe.

Il congelamento dei negoziati internazionali mentre continuano iniziative militari e diplomatiche

Il punto di stallo sul tavolo delle trattative riguarda anche gli Stati Uniti e l’Iran, con il negoziato sul nucleare che non registra passi avanti. Israele, nel frattempo, mantiene alto il livello di attenzione, preparando azioni militari preventive. Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e analista di Analisi Difesa, rileva che al momento le novità sul conflitto potranno venire solo dal campo di battaglia, e non dalle crisi diplomatiche.

In Europa, il cardinale Matteo Zuppi ha invitato a prendere in mano la questione della pace, sottolineando l’urgenza di una soluzione. La risposta europea si è tradotta in un piano di riarmo presentato dal commissario alla Difesa, Arvydas Kubilius, con un programma da 150 miliardi di euro chiamato SAFE. Tale somma è destinata a potenziare i sistemi di difesa europei e, in parte, a realizzare appalti congiunti con l’Ucraina per fornire armamenti e assistenza.

Supporti militari e finanziari all’ucraina

L’Ucraina stessa insiste perché i paesi europei assicurino un rifornimento continuo di armi e supporto per mantenere la sicurezza interna. Il ministro delle Finanze Serhiy Marchenko ha dichiarato che questi sforzi pesano su una piccola porzione del PIL europeo, ma hanno un impatto decisivo sul fronte. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha definito la necessità di trasformare l’Ucraina in un «porcospino d’acciaio», evidenziando l’obiettivo di farla diventare un bastione difficilmente attaccabile.

Lo scenario mostra però una forte disomogeneità nelle risposte europee, dove molte nazioni si confrontano con limiti economici e politici. Secondo alcune fonti, dietro certe iniziative si nasconderebbe un’organizzazione poco coordinata, incapace di garantire una strategia davvero consolidata.

Scambio di prigionieri e tensioni sulle tregue invise alla russia e alla nato

Nel frattempo, si parla di uno scambio imminente di circa mille prigionieri tra le due parti in guerra. Questa operazione, in parte già eseguita, viene vista da alcuni come un segnale diplomatico, ma uno sguardo più attento rivela che molti dei prigionieri da liberare non sono soldati regolari. In realtà, gli ucraini dispongono di pochi detenuti russi, mentre la lista include anche civili, dissidenti filorussi e altri soggetti associati con Mosca, il che riduce il valore strategico dello scambio.

La questione del cessate il fuoco crea ulteriori tensioni. Secondo il ministro della Difesa belga, Theo Francken, una tregua favorirebbe il rafforzamento della presenza militare della Nato in Ucraina, un fatto inaccettabile per Mosca. Di conseguenza, le voci su un possibile accordo di pace rimangono molto distanti dalla realtà, poiché entrambe le parti temono che un armistizio possa modificare gli equilibri a loro discapito.

Gli Stati Uniti hanno mostrato un atteggiamento ambiguo, con ex presidenti come Donald Trump che sembrano voler uscire dai negoziati ma allo stesso tempo sollecitano un possibile incontro tra Mosca e Kiev. Questa doppiezza politica alimenta l’incertezza attorno al futuro del conflitto.

Le attuali condizioni indicano un conflitto che non si arresta, con la diplomazia in ritirata e il fronte militare in prima linea per definire l’evoluzione delle prossime settimane e mesi.