Home Moody’s declassa il debito Usa: tutte le agenzie di rating hanno tolto le tre A per la prima volta dal 1919

Moody’s declassa il debito Usa: tutte le agenzie di rating hanno tolto le tre A per la prima volta dal 1919

Moody’s declassa il rating degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1, segnando un evento storico e riflettendo preoccupazioni per l’aumento del debito pubblico e la gestione economica delle ultime amministrazioni.

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Moody’s ha declassato il rating degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1, segnando un evento storico che riflette preoccupazioni sul crescente debito pubblico e sulla gestione economica, con ripercussioni globali e sfide politiche ed economiche per USA ed Europa. - Unita.tv

La decisione di Moody’s di abbassare il rating degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1 segna un evento storico. Non è la prima volta che un’agenzia toglie la massima valutazione al debito americano, ma è la prima volta dal 1919 che tutte le principali agenzie concordano nel declassare il credito degli Usa. Questo cambiamento riflette le preoccupazioni diffuse sull’aumento del debito pubblico e sulla gestione delle finanze da parte delle ultime amministrazioni, e lascia intravedere nuove sfide economiche e politiche per il paese.

Declassamenti precedenti e contesto storico

Standard & Poor’s aveva già tolto il rating tripla A agli Stati Uniti nel 2011, durante un periodo ancora segnato dalle conseguenze della crisi finanziaria globale iniziata nel 2008. Due anni fa era tocato a Fitch accomunarsi a questa scelta, mentre Moody’s finora resisteva. La recente decisione quindi completa il quadro, restituendo un giudizio meno positivo su uno degli emittenti più importanti al mondo.

Il dato nuovo è che il declassamento arriva in un contesto dove l’economia americana mostra segnali di fragilità legati a una crescita del debito pubblico senza adeguate strategie di contenimento. In passato la perdita della tripla A era stata un campanello d’allarme, ma oggi assume un significato ancora più pesante, in quanto riflette una mancanza di autocorrezione della politica economica americana. Questo aspetto collega la scelta delle agenzie al modo in cui le ultime amministrazioni, in particolare quella di Donald Trump, hanno gestito le risorse federali.

Le responsabilità politiche dietro l’aumento del debito

Donald Trump attribuisce la colpa ai predecessori, sostenendo che Joe Biden ha peggiorato la situazione con le sue spese per energie alternative e tecnologie. È vero, Biden ha aumentato il deficit federale cercando di investire in settori considerati strategici, ma la forte espansione del debito parte già dal primo mandato di Trump. I tagli fiscali e la spesa pubblica non coperta hanno contribuito a incrementare il disavanzo.

Questa combinazione di scelte politiche ha generato un debito che appare fuori controllo. Le critiche verso la politica fiscale divenuta espansiva non risparmiano nessuna delle due amministrazioni. Le proiezioni indicano che il deficit federale potrebbe raggiungere il 9% del Pil entro il 2035, mentre i costi per pagare gli interessi cresceranno pesantemente, fino al 25%. Questi numeri mettono sotto pressione il governo e rendono più complesso il mantenimento di una fiducia stabile da parte di investitori e mercati internazionali.

L’impatto del declassamento sullo status finanziario Usa

Attualmente il rating Aa1 degli Stati Uniti, seppur inferiore al massimo, non rappresenta una catastrofe immediata. Tuttavia, segna una cesura significativa. Quello che conta è che gli Usa, storicamente percepiti come la più sicura delle economie avanzate, perdono quella certezza che li ha sempre contraddistinti. Il declassamento riflette un “punto di rottura” per il paese, e per la prima volta da un secolo l’America non è più il luogo referenziale dove si cerca stabilità finanziaria.

Questa perdita di fiducia si traduce in un aumento dello spread con paesi come la Germania, ancora valutata tripla A da tutte le agenzie. Il differenziale di rendimento sui titoli di stato americani rispetto a quelli tedeschi è già alto, intorno a 189 punti base, e si prevede una tendenza al rialzo. La domanda per i titoli di debito Usa potrebbe calare. Per stimolare gli investimenti sarà necessario aumentare i rendimenti, in particolare sui bond a dieci anni.

La dimensione geopolitica e le banche internazionali

La situazione si fa più complessa se si considera che diverse grandi banche internazionali, tra cui quelle europee, hanno iniziato a ridurre l’esposizione verso il debito in dollari. Un elemento che riflette non solo preoccupazioni economiche, ma l’esistenza di una dimensione geopolitica che coinvolge anche scontri commerciali e strategici.

Le reazioni dell’amministrazione Trump e la politica monetaria

La risposta di Donald Trump alle critiche è stata rabbiosa. Punta il dito contro la Federal Reserve e il suo presidente Jerome Powell, arrivando a insulti personali. La banca centrale, però, mantiene un atteggiamento prudente nel gestire la politica monetaria, evitando mosse brusche che potrebbero aggravare l’instabilità finanziaria.

I tassi d’interesse restano alti rispetto al passato, ma il calo dell’inflazione procede lentamente. Powell ha chiarito che la politica monetaria non può sopperire alle decisioni fiscali, richiedendo un intervento più deciso da parte del governo. Questa posizione ha alimentato le tensioni tra la Casa Bianca e la Fed, in un contesto di grande incertezza.

I principali strumenti economici come i tagli alle tasse promessi da Trump appaiono meno realizzabili, proprio a causa dell’elevato deficit e della necessità di contenere la spesa pubblica. L’ipotesi di finanziare questi tagli con le entrate derivanti dai dazi si è rivelata insostenibile.

Il rischio per l’Europa e le sfide per l’eurozona

Il declassamento del rating Usa ha effetti che si fanno sentire anche in Europa. Solo pochi paesi hanno ancora le tre A da tutte le agenzie: Germania, Olanda e Lussemburgo. Il loro ruolo diventa centrale nella dinamica economica dell’area, in particolare perché molti paesi dell’Eurozona mostrano fragilità finanziarie.

L’Unione Europea si trova davanti a una posizione difficile, in cui si sta rendendo conto della propria vulnerabilità. Mario Draghi aveva sottolineato a Coimbra la necessità di agire come un unico soggetto economico e politico, invece di frammentarsi in 27 realtà separate. Il rischio è che le tensioni internazionali, accentuate da politiche protezionistiche come i nuovi dazi annunciati da Trump, mettano in crisi la coesione europea.

Per ora restano aperti i dubbi su come e con chi l’Unione si presenterà ai negoziati internazionali. Rischiare di mostrare un fronte diviso in tempi di turbolenza è un’occasione persa, con possibili ripercussioni sulla stabilità economica e politica di tutto il continente.


L’abbassamento del rating del debito pubblico Usa da parte di Moody’s sancisce un cambiamento sostanziale. La perdita dell’unanimità nel giudizio delle agenzie sulle tre A apre scenari non facilmente prevedibili per il futuro finanziario degli Stati Uniti e per il sistema globale. Un segnale da non sottovalutare per investitori, governi e opinione pubblica, in un momento in cui le sfide economiche e geopolitiche si intrecciano con questioni di fiducia e credibilità.