Nel cuore della legislatura italiana, il dibattito sulla legge elettorale si infiamma soprattutto all’interno della maggioranza di centrodestra. La discussione si intreccia con la riforma costituzionale sulla forma di governo, nota come “premierato”, una parola però impropria rispetto alla modifica reale che si intende introdurre. Il progetto sembra focalizzato su un meccanismo elettorale che produce una maggioranza a sostegno del presidente del Consiglio, un tema su cui i leader del centrodestra mostrano un consenso pressoché unanime. Nel frattempo, molte questioni restano aperte circa gli effetti di un cambiamento così profondo sul sistema democratico italiano.
Il nodo tra riforma costituzionale e legge elettorale
La riforma della forma di governo proposta dal centrodestra non è un premierato nel senso classico del termine. Nei sistemi parlamentari consolidati come in Inghilterra o in parte in Germania, il premierato si fonda su regole e convenzioni chiare che assegnano agli elettori il compito di individuare una maggioranza di governo attraverso sistemi elettorali spesso semi-maggioritari. Qui, il voto esprime in modo diretto o indiretto una coalizione chiara già prima dell’elezione.
Nel progetto italiano, invece, il governo del presidente del Consiglio viene configurato attraverso modifiche costituzionali, in particolare all’articolo 92 comma 3. La legge dovrebbe prevedere un premio nazionale che garantisca una maggioranza di seggi alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, mantenendo un rispetto formale per la rappresentatività e la tutela delle minoranze linguistiche. Si tratta di un sistema in cui il voto popolare rischia di essere influenzato per creare una maggioranza intorno alla figura del presidente del Consiglio, senza che gli elettori abbiano la certezza di scegliere direttamente quella coalizione.
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Impatto sul rapporto elettori-rappresentanti
Questo meccanismo modifica in modo decisivo il rapporto tra elettori e rappresentanti, con possibili ripercussioni sulla democrazia rappresentativa. Il rischio, sostenuto da osservatori e costituzionalisti, è un lento spostamento verso schemi autoritari o forme di democrazia post-parlamentare.
La divisione elettorale italiana e l’ambiguità del momento
Il sistema elettorale italiano è caratterizzato da una divisione quasi perfetta tra centrodestra e centrosinistra, che dura dai tempi della legge Calderoli adottata nel 2006. Quella divisione ha resistito nonostante momentanei cambiamenti dovuti al tripolarismo del 2013 e 2018 e agli effetti del movimento 5 Stelle. Nelle elezioni, la vittoria di un blocco o dell’altro dipende spesso da margini ristretti di voti, rendendo il panorama politico molto frammentato e incerto.
Nel 2025 la maggioranza ha interesse a consolidare un sistema che assicuri un secondo mandato, ma l’attuale assetto del corpo elettorale rende questa prospettiva incerta. Spostare in avanti l’approvazione della riforma o anticipare la legge elettorale può funzionare come un tentativo di contenere il pericolo di un referendum che bloccherebbe la riforma stessa. Il referendum, se tenuto, metterebbe in contrapposizione la popolarità del presidente della Repubblica con quella indefinita del presidente del Consiglio, innescando uno scontro politico particolarmente delicato.
Scenari istituzionali futuri
Per esempio, la fine del mandato di Mattarella nel 2029 potrebbe coincidere con il rinnovo delle camere nel 2027. Se la riforma venga respinta o rimandata, si avrebbe un contemporaneo contesto istituzionale complicato e una legge elettorale non coerente con la forma di governo. Questo genera una spaccatura politica che il centrodestra cerca di evitare anticipando le decisioni.
Le implicazioni giuridiche e politiche della riforma elettorale
Il disegno della nuova legge elettorale non è chiaro nei dettagli e le uniche indiscrezioni finora circolate riguardano le preferenze indicate dalla presidente Meloni, che hanno sollevato interrogativi soprattutto in Forza Italia e nella Lega. Definire un giudizio completo rimane difficile, ma alcuni principi sono noti.
In termini costituzionali, l’esperienza insegna che modificare la legge elettorale senza aver prima concluso una riforma costituzionale è rischioso. Renzi, nel passato, ha tentato una strada simile ottenendo risultati insoddisfacenti e una forte oppositione. La Corte costituzionale, con le sentenze 1 del 2014 e 35 del 2017, ha chiarito che esistono limiti netti ai premi di maggioranza e alle alterazioni del sistema proporzionale.
La corte impone regole essenziali come il rispetto della rappresentatività e il mantenimento del voto di preferenza. Superare certi limiti crea problemi legali e politici. Per questo svariate forze politiche rifiutano sistemi maggioritari di tipo collegio uninominale e cercano di proteggere la pluralità di candidati, anche se questo rende più difficoltosa la formazione di maggioranze stabili in parlamento.
Necessità di consenso e rischi di conflitto
La legge elettorale, secondo il dettato costituzionale , richiede maggioranze qualificate in parlamento e un iter formale particolare per la sua approvazione. Una modifica approvata solo dalla maggioranza rischia di innescare forti tensioni sociali e politiche. In uno scenario caratterizzato da elevato astensionismo e divisioni interne, una legge elettorale votata senza un accordo ampio rappresenterebbe un atto di forza che non riflette il sentire della maggioranza degli italiani.
Il risultato potrebbe essere un blocco giudiziario da parte della Corte costituzionale e una polarizzazione politica estrema. Un confronto aperto tra maggioranza e opposizione sul tema sembrerebbe condizione indispensabile per una legge condivisa e sostenibile.
Possibile scenario post-referendum
Se la riforma costituzionale venisse approvata, anche attraverso un referendum, la situazione cambierebbe. Le nuove regole sulla forma di governo imporrebbero alle forze politiche di cooperare per attuare la riforma. In quel contesto la discussione sulla legge elettorale assumerebbe una dimensione diversa, sicuramente più vincolata e meno conflittuale. Per il momento, però, l’anticipo di una legge elettorale collegata a una riforma incerta sembra accendere più tensioni che offrire soluzioni stabili.