Le indagini sulla banda della Uno bianca segnano una pagina tragica della criminalità italiana degli anni tra il 1987 e il 1994. A dare la svolta decisiva furono due volti chiave: luciano baglioni, poliziotto con lunga esperienza, e daniele paci, magistrato impegnato in casi complessi. Questa banda, formata quasi completamente da agenti di polizia, terrorizzò l’italia centrale con rapine e omicidi brutali. Ripercorriamo i momenti cruciali di queste indagini e la figura degli uomini che portarono alla luce la verità nascosta dietro le divise.
Il ruolo di luciano baglioni e daniele paci nelle indagini sulla banda della uno bianca
Luciano Baglioni, vice dirigente della squadra mobile di Rimini, insieme al collega Pietro Costanza, si trovò coinvolto direttamente in un’inchiesta che sconvolse anche chi indagava. Il gruppo criminale in questione, noto come banda della Uno bianca per l’uso dell’omonima automobile nelle rapine, si rivelò formato per lo più da poliziotti. Baglioni ha ricordato più volte la difficoltà di affrontare una realtà così amara: “Sono criminali, nulla hanno a che fare con le divise che indossiamo noi”, dichiarando in modo netto la separazione tra onestà e tradimento.
Daniele paci e la svolta investigativa
Daniele Paci, che allora era un giovane pm e oggi si occupa di casi altrettanto delicati, come quello di Pierina Paganelli, ha spiegato in un’intervista come arrivarono a smascherare la banda. La chiave fu partire senza pregiudizi, un approccio che consentì di guardare oltre agli schemi usuali e identificare i componenti di quel commando pericoloso. La sua azione giudiziaria fu centrale nel rendere giustizia alle vittime e nel dare un segnale chiaro di contrasto alla criminalità interna alle forze dell’ordine.
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Le dinamiche e la composizione del gruppo criminale
Tra gli arrestati spicca il nome di Roberto Savi, primo ad essere rinchiuso in carcere. Questo evento fece scattare un senso di shock tra gli investigatori. Luciano Baglioni racconta di quel momento come uno dei più difficili: “Fu uno choc tremendo scoprire che un collega fosse uno dei killer a cui davamo la caccia”. Roberto Savi era parte di un gruppo composto per lo più da agenti di polizia, insieme ai fratelli Fabio e Alberto Savi, condannati all’ergastolo.
Il commando comprendeva inoltre Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli, tutti legati alle forze di polizia. Questa realtà ribaltò in modo drammatico l’immagine pubblica delle istituzioni e generò un forte trauma personale per chi indagava, costretto a fare i conti con tradimenti interni. La volontà della banda non si limitava a compiere rapine, ma puntava a colpire colleghi, una sfida diretta agli stessi apparati di sicurezza. Giuseppe Difonzo rimane nella memoria per l’omicidio della figlia di tre mesi, vittima delle azioni del gruppo, e la sua storia si lega alla tristezza di quel periodo.
Un fenomeno di violenza interna
La partecipazione di agenti alle azioni criminose rappresentò un nodo cruciale per le forze dell’ordine e per la percezione dell’istituzione agli occhi dell’opinione pubblica.
L’impatto delle indagini e il ricordo di un’epoca di violenza
La vicenda della banda della Uno bianca ha lasciato un segno profondo nella cronaca italiana. Le vittime furono 24 e più di cento i feriti in sette anni di violenza tra Emilia-Romagna e Marche. Le rapine non erano azioni isolate, ma parte di un disegno più ampio e brutale, in cui si nascondeva anche la confidenza di appartenenti alle forze dell’ordine tradite dalle loro stesse azioni.
Il lavoro di baglioni, paci e costanza si sviluppò fra pericoli reali e tensioni interne. Ogni scoperta alimentava la già alta tensione e ogni passo avanti nella ricerca della verità appariva un colpo contro un nemico invisibile ma interno. La dichiarazione di baglioni nel momento in cui costanza gli annunciò che gli assalitori erano proprio quegli uomini in divisa rappresenta un momento di rottura emotiva e professionale.
Ricordo e insegnamenti
Oggi, ripensare a questa storia serve a ricordare quanto sia difficile tenere a bada la violenza che nasce anche in luoghi insospettabili. Gli strumenti messi in campo da quegli investigatori rimangono un esempio concreto di tenacia e coraggio. Le ferite lasciate da quella banda non si sono ancora del tutto rimarginate, ma il lavoro di chi ha portato giustizia ha anche restituito fiducia a chi crede nella legge.