La vicenda colombia-gate riaperta da 100minuti nonostante l’archiviazione di Massimo d’Alema

Il programma 100minuti riapre il dibattito sul caso colombia-gate, esaminando le implicazioni etiche della vendita di armi alla Colombia e il coinvolgimento di Massimo d’Alema nel commercio armato.
Il programma d’inchiesta *100minuti* riapre il dibattito sul *colombia-gate*, indagando il coinvolgimento politico di Massimo d’Alema nella controversa vendita di armi alla Colombia, evidenziando questioni etiche oltre agli aspetti giudiziari. - Unita.tv

La recente stagione di 100minuti, il programma d’inchiesta condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini su La7, ha riportato alla luce un tema delicato legato alla vendita di armi alla Colombia. Il caso, noto come colombia-gate, era stato archiviato in tribunale, soprattutto dopo le indagini sulla presunta corruzione che hanno coinvolto Massimo d’Alema, protagonista della vicenda. Nonostante la chiusura giudiziaria, il programma ha deciso di riaprire il dibattito, puntando il dito contro questioni etiche che sorgono nel commercio d’armi, in particolare quando coinvolgono esponenti politici.

Il programma 100minuti e il focus sulla vendita di armi alla colombia

100minuti ha scelto di dare spazio a un argomento apparentemente chiuso, ovvero gli accordi legati alla vendita di armamenti alla Colombia. Nella prima puntata della nuova stagione, Formigli e Nerazzini hanno esaminato le implicazioni di questa vendita inserendola nel più ampio contesto della corsa alle armi nel mondo. Nerazzini ha sottolineato come in questa vicenda si manifesti una “totale assenza di etica” soprattutto in un personaggio politico di sinistra che si è mostrato attratto dal business del settore armamenti.

Il programma ha messo in evidenza un contrasto tra gli ideali di alcuni leader che, invece di dedicarsi ad attività umanitarie o associative, sembrano più impegnati in operazioni commerciali dietro cui si nascondono interessi economici di grande portata. Formigli, infatti, ha lanciato una critica mettendo in rilievo come alcuni leader “idealisti” preferiscano i guadagni milionari invece che guidare realtà orientate alla pace.

L’inchiesta di 100minuti ha usato documenti, intercettazioni e testimonianze per ricostruire il rapporto tra Massimo d’Alema e la vendita di armi. Pur essendo stata richiesta una intervista direttamente all’ex presidente del consiglio, la risposta è stata un rifiuto motivato dalla situazione giudiziaria ancora aperta al momento della richiesta.

Massimo d’alema e il rifiuto dell’intervista durante l’inchiesta

Danilo Lupo, inviato del programma, ha spiegato nel servizio andato in onda che era stata inviata una richiesta di intervista via email a Massimo d’Alema. Il politico ha preferito non rispondere, citando l’indagine in corso presso la procura di Napoli sulla corruzione, nell’ambito della quale si era depositata una richiesta di archiviazione che però non aveva ancora avuto un verdetto.

D’Alema ha ammesso che alcune informazioni diffuse erano false, incluse quelle riguardanti una intercettazione telefonica ritenuta “manipolata”. Ha spiegato che l’inchiesta si muoveva in un territorio complesso e delicato, definito da lui come “campo minato”. Per questo ha preferito evitare qualsiasi commento diretto sul tema mentre si trovava in quella fase processuale.

Nonostante il rifiuto formale all’intervista, a posteriori 100minuti ha insistito per un chiarimento sulla questione politica e morale che riguarda il coinvolgimento di D’Alema nel commercio delle armi, lasciando da parte ogni accusa penale o procedurale.

La stagnazione e il silenzio iniziale dopo l’esplosione del colombia-gate

Quando la vicenda colombia-gate emerse tre anni fa, Massimo d’Alema rilasciò solo due interviste, una a Corriere della Sera e l’altra a Repubblica. In quelle occasioni, negò di aver guadagnato denaro dalle trattative con la Colombia, affermando che il suo impegno era rivolto a tutelare gli interessi italiani.

Tuttavia, quegli interventi sembrano contraddetti da una intercettazione telefonica diventata nota, in cui d’Alema diceva “siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro”. Su questa frase l’ex leader ha poi puntato molto, affermando che è stata frutto di una manipolazione.

Al momento del primo contatto diretto durante l’inchiesta di 100minuti, l’inviato ha chiesto conto a D’Alema del cambiamento rispetto al suo impegno passato come militante di sinistra e pacifista. La risposta non arrivò subito e il silenzio iniziale ha sottolineato la distanza tra il ruolo storico politico e i fatti emersi nella vicenda.

Il nuovo chiarimento di d’alema e le sue spiegazioni sulle accuse

Nel prosieguo delle ricerche, 100minuti è riuscito a ottenere una risposta informale di D’Alema su alcuni dettagli. L’ex presidente del consiglio ha definito la sua attività come un tentativo “lobbistico ma lecito”, aggiungendo che lui non ha mai percepito compensi personali, poiché ogni pagamento sarebbe andato agli studi legali coinvolti.

Le dichiarazioni intercettate sono state ridimensionate: per d’Alema avevano un “valore relativo” e servivano solo a convincere chi era al telefono. Aggiunge di non aver conosciuto bene il curriculum dell’interlocutore e di essere caduto in un tranello, probabilmente orchestrato da servizi segreti.

Aggiunge di essersi mostrato ingenuo e di essersi affidato a una “comitiva improbabile”, senza accorgersi che era un “obiettivo accessorio” in un disegno più ampio volto a colpire i vertici delle società partecipate e a sostituirli. Quando l’interlocutore gli ha chiesto di giudicare sotto il profilo etico la vendita delle armi, d’Alema ha risposto secco: “Questi oggetti li produciamo, dobbiamo anche venderli”.

Il dibattito sulla vicenda resta aperto, soprattutto perché riporta in primo piano il pericolo di intreccio tra politica e affari nel commercio degli armamenti, tema che suscita attenzione e contestazioni anche in settori diversi da quelli giudiziari.