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La delicata asta dei titoli a lungo termine in giappone e le ripercussioni sui mercati globali nel 2025

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L’ultima asta dei titoli governativi giapponesi rivela una domanda debole e fragilità nella strategia della Bank of Japan, con impatti significativi sui mercati obbligazionari globali e rischi crescenti per l’economia giapponese e internazionale. - Unita.tv
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L’ultima asta dei titoli governativi giapponesi ha messo in luce una realtà complessa che spesso sfugge alle cronache più superficiali. La domanda debole registrata durante l’emissione, insieme alle mosse delle autorità monetarie, espone fragilità nella strategia della Bank of Japan. La situazione va guardata con attenzione perché coinvolge non solo il mercato locale, ma si riflette anche sulle dinamiche internazionali dei bond, influenzando economie e istituzioni finanziarie in tutto il mondo.

L’asta giapponese: numeri che raccontano un malessere nascosto

Il 2025 ha visto all’asta un titolo di stato giapponese a 40 anni, un appuntamento che avrebbe dovuto confermare la stabilità del mercato obbligazionario locale. Invece, la bid-to-cover ratio di 2,2, inferiore al 2,9 della precedente asta, ha mostrato come la richiesta di questi titoli sia calata significativamente, toccando il livello più basso da luglio 2024. L’interpretazione superficiale di questi dati rischia di trasformare un segnale di allarme in una conferma errata di forza.

Dietro questo apparente successo, infatti, c’è stata un’azione coordinata tra Bank of Japan e Ministero delle Finanze. La banca centrale ha abbassato i rendimenti dei titoli a lungo termine con interventi massicci, accompagnandoli a una svalutazione dello yen che ha toccato percentuali a due cifre in poche ore — una manovra di solito programmata su mesi. Il Ministero ha chiamato a raccolta i Primary Dealers per modificare la struttura delle emissioni, puntando a scambiare debito a lungo termine con strumenti a breve durata.

Queste manovre — inconsuete e pesanti — hanno evitato temporaneamente il collasso del mercato obbligazionario giapponese, ma la domanda più debole non lascia dubbi: la fiducia degli investitori è in declino. L’azione della banca centrale somiglia a una corsa contro il tempo, un tentativo di mascherare problemi più profondi che emergono in contesti macroeconomici sempre più complessi.

Inflazione e crescita: una sfida per la politica monetaria

A questo scenario si aggiunge la pressione di fattori economici che ostacolano le politiche di stimolo. L’aumento sostenuto del prezzo del riso in aprile, con un’impennata del 98,4% rispetto al mese precedente, rappresenta un indice potente dell’inflazione nei beni di prima necessità. Questi valori sono i più alti registrati dal 1971, e influenzano direttamente il costo della vita in Giappone.

L’indice dei prezzi al consumo ha raggiunto il 3,5% su base annua, superando per cinque mesi consecutivi la soglia del 3%, un dato rilevante in un’economia storicamente abituata a tassi molto più bassi. Contemporaneamente la crescita economica è in sofferenza: il primo trimestre del 2025 ha visto un calo dello 0,7% del PIL, portando il paese in una condizione di stagflazione.

In un contesto simile, anche le azioni della Federal Reserve americana risentono delle difficoltà globali. Dazi commerciali, tassi di disoccupazione e debolezza nella crescita complicano la gestione del costo del denaro, richiedendo un bilanciamento difficile. Il risultato è una pressione globale sui mercati dei titoli di stato, con effetti che si spandono fino al Giappone e all’Europa.

La manipolazione del mercato e i costi per il sistema finanziario

La Bank of Japan ha diradato le sue riserve di strumenti utili per mantenere bassi i tassi di interesse a lungo termine. Questa pressione costante ha costretto l’istituto a una serie di interventi che assomigliano a una manipolazione del mercato piuttosto che a un sostegno naturale. La svalutazione rapida dello yen e l’acquisto massiccio di bond a lungo termine sono interventi che nascondono la vera fragilità del sistema.

Questa strategia però porta a costi nascosti, tra cui quello sociale. La politica monetaria espansiva ha fatto salire i prezzi dei beni primari, con un impatto diretto sul potere d’acquisto delle famiglie giapponesi. L’aumento del prezzo del riso non è un fenomeno isolato, ma uno dei segnali più evidenti di un’inflazione che leggera negli aspetti formali, in realtà penetra con forza.

In più, il Tesoro giapponese ha già annunciato modifiche nel proprio approccio alle emissioni, spostando la preferenza dai titoli a lungo termine a quelli a breve scadenza. Questo cambiamento rappresenta una forma di ammissione della difficoltà nel mantenere una domanda stabile su scadenze più lunghe e illumina quanto il gioco delle emissioni sia diventato più complicato.

I riflessi della crisi giapponese sui mercati europei e americani

La debolezza del mercato obbligazionario in Giappone trova un riflesso nei titoli di stato europei e americani. L’asta del bund tedesco a 15 anni, per esempio, ha avuto una domanda pari a cinque volte l’offerta, un aumento rispetto alle aste precedenti. Tuttavia, il rendimento richiesto è salito leggermente, dal 2,80% al 2,85%. Non sembra molto, ma su strumenti di questo tipo ogni decimale di aumento segnala nervosismo.

Se fosse un Btp italiano, un incremento simile porterebbe immediatamente segnali di allarme. Sul bund, tradizionalmente synonimo di stabilità, segnala comunque tensioni sulle aspettative di mercato. Questi dati si sommano alla situazione degli Usa, dove i Treasury a breve scadenza sono usati come garanzia per operazioni di rifinanziamento più complesse.

Il calendario da qui a fine anno prevede che gli Stati Uniti debbano rinnovare circa 7 trilioni di dollari di debito. In un contesto di mercati poco reattivi e fragili, questa mole di rimborsi potrebbe comportare forti scossoni. Le tensioni sui rendimenti del debito europeo e giapponese indicano che il sistema globale è in una fase delicata, con banche centrali che faticano a mantenere l’equilibrio.

Sfide estive e incertezza sui mercati del debito

L’estate introduce tradizionalmente una fase di riduzione dei volumi delle negoziazioni, con mercati meno liquidi e volatilità spesso più ampia. Le attuali condizioni, però, aggiungono un rischio superiore alla norma. Il calo della domanda sulle emissioni a lungo termine, combinato con la crescente incertezza sulle mosse delle banche centrali, crea un terreno instabile.

Il rischio è che piccoli segnali di pressione si trasformino rapidamente in eventi più ampi, innescando reazioni a catena. La politica monetaria continua a dipendere da interventi non ordinari per oscurare tensioni reali, ma questi strumenti rischiano di perdere efficacia nel corso dei mesi.

Non c’è ancora una crisi conclamata, ma i segnali non vanno trascurati. Le condizioni attuali potrebbero portare a scossoni significativi nel mercato obbligazionario, con effetti riscontrabili anche sulla finanza reale e sulle prospettive di crescita di economia globali, incluso il Giappone stesso. Chi osserva sa che, dietro un’apparente calma, la dinamica dei mercati rimane complicata e da monitorare con attenzione.

Written by
Serena Fontana

Serena Fontana è una blogger e redattrice digitale specializzata in cronaca, attualità, spettacolo, politica, cultura e salute. Con uno sguardo attento e una scrittura diretta, racconta ogni giorno ciò che accade in Italia e nel mondo, offrendo contenuti informativi pensati per chi vuole capire davvero ciò che succede.

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