La crescita della produttività in europa e le sfide dei salari e delle relazioni industriali nel 2025
Il divario di produttività tra Europa e Stati Uniti influisce su salari, domanda interna e politiche economiche, con tensioni sindacali in Italia che evidenziano le sfide del mercato del lavoro.

L'articolo analizza il divario di produttività tra Europa e Stati Uniti, evidenziando le conseguenze sui salari, la domanda interna e le tensioni nel mercato del lavoro italiano, con particolare attenzione alla vertenza metalmeccanica e alle dinamiche sindacali. - Unita.tv
L’Europa continua a confrontarsi con un divario produttivo crescente rispetto agli Stati Uniti, un problema che si riflette anche nella dinamica dei salari e nella domanda interna. Negli ultimi 25 anni, la produttività del lavoro nell’Unione europea è aumentata a metà del ritmo statunitense, una differenza che ha influenzato le scelte politiche economiche, la crescita dei consumi e le condizioni del mercato del lavoro. Le tensioni nelle trattative sindacali, in particolare nel settore metalmeccanico italiano, testimoniano un clima complesso, mentre le sfide legate a un adeguato sviluppo del mercato interno restano un tema centrale nel dibattito economico e sociale europeo.
Il divario di produttività tra eu e stati uniti: numeri e conseguenze
Dal 2000 a oggi, la produttività del lavoro nell’Ue è cresciuta molto meno rispetto agli Stati Uniti, con un divario cumulativo di circa 27 punti percentuali. Questo scarto non è stato solo un dato statistico ma ha influito pesantemente sulle politiche economiche adottate in Europa. Invece di tentare di invertire il rallentamento produttivo, molte strategie hanno preferito adattarsi a questa realtà, piuttosto che contrastarla.
Questa scelta ha avuto ripercussioni dirette sul livello dei salari reali, che nell’area euro hanno stentato a crescere, addirittura in alcuni casi sostanzialmente fermi, soprattutto a confronto con l’incremento registrato negli Stati Uniti, dove i salari reali sono aumentati di circa 9 punti percentuali in più. Nel tentativo di mantenere competitività sui mercati esterni, in particolare quelli globali, è stato necessario contenere la crescita salariale, una mossa che invece ha raffreddato i consumi interni.
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La compressione dei salari ha contribuito a un calo della domanda interna, aggravato dalle politiche fiscali restrittive messe in campo negli ultimi anni. Si è così creato un ciclo difficile da spezzare: la bassa produttività ha tirato giù i salari, la limitazione delle retribuzioni ha frenato i consumi e la domanda interna ha subito una battuta d’arresto, a tutto vantaggio dell’orientamento verso un modello di crescita basato prevalentemente sulle esportazioni.
Le conseguenze sulla domanda interna e le politiche di crescita
Fino al 2008, la domanda interna nei Paesi europei dell’euro si muoveva su ritmi simili a quelli degli Stati Uniti. Dopo quella data, la crescita della domanda americana ha preso velocità, superando di gran lunga quella europea, che è rimasta più lenta e contenuta. Questa dinamica ha indicato un cambiamento strutturale nel modello di sviluppo economico europeo, con una progressiva rinuncia all’espansione del mercato interno come volano di crescita.
Questo trend ha trovato conferma nel discorso recente di Mario Draghi a Coimbra nel 2025, occasione in cui ha sottolineato la necessità di rivedere le strategie economiche europee. Draghi ha ricordato come la politica finora adottata, volta a contenere l’aumento dei salari per salvaguardare la competitività esterna, abbia finito per danneggiare la domanda interna. Propone quindi un maggiore investimento e una più stretta integrazione economica tra i Paesi europei per dare alla domanda interna il ruolo di motore economico, abbandonando l’eccessiva dipendenza dalle esportazioni.
Il cambiamento di paradigma richiesto mira anche ad aumentare la produttività, l’unico elemento che può sostenere un incremento significativo e duraturo dei salari e, di conseguenza, della capacità di spesa delle famiglie. Senza una produttività in crescita, infatti, alzare le retribuzioni rischia di indebolire la competitività internazionale delle imprese europee, creando nuove tensioni sociali ed economiche.
La questione dei salari in italia e le tensioni nel mercato del lavoro
In Italia, i salari bassi restano un tema caldo, al centro di dibattiti politici molto accesi. Le opposizioni denunciano la scarsa crescita retributiva come un limite alla qualità della vita e al benessere dei lavoratori, soprattutto non considerando i risultati positivi sul fronte dell’occupazione raggiunti recentemente. Negli ultimi anni ci sono stati alcuni rinnovi contrattuali importanti, che dovrebbero contribuire a recuperare, almeno in parte, l’inflazione chiamata “straordinaria” causata da eventi come la pandemia, lo shock energetico e il conflitto in Ucraina.
L’Istat e Confindustria indicano che la crescita dell’occupazione ha migliorato il reddito reale delle famiglie, ma la fiducia dei consumatori è diminuita nei primi mesi del 2025. Questo fenomeno potrebbe portare a un aumento della propensione al risparmio, una variazione che rende più difficile tradurre il lavoro in spesa e quindi far ripartire la domanda interna.
Focus sulla vertenza metalmeccanica
Sul fronte industriale, la situazione più delicata riguarda la vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, settore chiave con oltre 1,5 milioni di addetti. Le trattative si sono bloccate quasi completamente, spingendo i sindacati a organizzare scioperi. Particolarmente significativa è la posizione della società Leonardo che, in una lettera pubblica, ha criticato Federmeccanica per l’impasse e ha chiesto di riprendere immediatamente i negoziati, sottolineando i danni che il blocco sta creando alla produzione e alle relazioni industriali della filiera.
Leonardo ha riconosciuto che le richieste sindacali superano le capacità delle imprese, ma ha anche evidenziato che l’offerta di Federmeccanica appare insufficiente per chiudere l’accordo. L’azienda chiede quindi un cambio di approccio e una reale disponibilità al confronto. Questa presa di posizione riflette la tensione interna a un sistema produttivo che, mentre affronta nuove sfide, fatica a trovare un equilibrio tra crescita salariale e sostenibilità economica.
I riflessi politici e sociali sulla rappresentanza sindacale e il voto dei referendum
La situazione contrattuale metalmeccanica non è l’unico segnale delle difficoltà in Italia. La Cgil, storicamente grande sindacato del Paese, attraversa una fase di mutamenti e tensioni interne alle sue strategie. Mentre prosegue la campagna per il sì a quattro referendum, la sua comunicazione sembra meno focalizzata sul sostegno diretto alle trattative più importanti per i lavoratori, compreso appunto il rinnovo sul contratto metalmeccanico.
Questo spostamento ha suscitato critiche e interpretazioni circa la direzione che la Cgil stia prendendo sul fronte delle relazioni industriali e la sua capacità di rappresentare le istanze dei lavoratori. Nel clima delle consultazioni referendarie di giugno 2025, numerosi osservatori invitano all’astensione, considerata una forma di protesta contro quesiti giudicati poco utili o dannosi.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2025, ha segnalato l’esistenza di pubblicità ingannevole intorno ai quesiti referendari, colpendo anche la comunicazione di alcuni leader sindacali. Questi elementi mostrano come il terreno politico e sociale resti piuttosto agitato, e che le sfide economiche nel Paese si riflettano anche sui livelli istituzionali e di rappresentanza.