Insegnare antropologia culturale nelle scuole superiori: sfide e limiti dei testi attuali
L’antropologia culturale nelle scuole superiori presenta lacune significative, trascurando esperienze cruciali e conflitti reali, limitando così la comprensione delle diversità culturali e il rispetto per l’altro.

L’articolo critica i limiti dell’antropologia culturale nelle scuole superiori, evidenziando la carenza di esperienze reali e riflessioni critiche nei testi, e sottolinea l’importanza di un approccio che unisca teoria, storia e dignità delle persone per un autentico confronto culturale. - Unita.tv
L’antropologia culturale nelle scuole superiori si trova davanti a un compito delicato: far capire chi è l’altro, quanto le sue radici influenzano le sue scelte, e cosa accade quando due mondi diversi si incontrano. I libri di testo disponibili offrono una quantità di dati, ma evitano spesso di raccontare esperienze cruciali, limitando così la reale comprensione del tema. Questa carenza si riflette in una visione semplificata e a tratti sterile dell’altro da sé.
Il vuoto delle esperienze fondamentali nelle risorse didattiche
L’attuale offerta di materiali didattici di antropologia culturale nelle scuole superiori mostra una ricchezza formale, ma manca di raccontare alcune esperienze imprescindibili. Non si parla, per esempio, delle pratiche di inculturazione dei gesuiti come padre Matteo Ricci in Cina o le reducciones tra i guaraní, che rappresentano un esempio di contatto intenso tra culture. Riferimenti importanti come l’importanza del sacro nella storia secondo Julien Ries, o l’antropologia del gesto di Marcel Jousse, risultano assenti.
I testi si concentrano molto su popolazioni ancestrali come boscimani, andamanesi o masai, tuttavia non affrontano la sorte di popoli minacciati o perseguitati. Si evita di menzionare situazioni di conflitto e di tutela come il lavoro di Gerard Russell sulle religioni minacciate in Medio Oriente, escludendo così temi come persecuzioni e libertà religiosa. Gruppi come gli hmong, i montagnards vietnamiti, i rohingya o i tibetani non trovano spazio nella didattica mainstream, che tende invece a neutralizzare il disagio e le difficoltà reali di queste comunità con un silenzio di apparente rigore scientifico.
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La mancata riflessione critica sull’eredità lombrosiana
Oltre a queste omissioni c’è un mancato confronto critico con l’eredità dell’antropologia culturale lombrosiana e le sue implicazioni negative. Ignorare questo aspetto sfocia nella perdita di attenzione verso la complessità dell’altro e riduce l’insegnamento al mantenimento sterile del relativismo culturale, fino alle sue forme che possono ledere la dignità delle persone coinvolte.
Relativismo culturale e dignità della persona nelle scuole
La questione del rispetto delle culture diverse si scontra con episodi che sollevano dubbi profondi. In alcuni testi si sostiene la legittimità di una mediazione tra culture di provenienza e cultura italiana, come nel caso di un ginecologo somalo che propone una puntura di spillo sul clitoride al posto dell’infibulazione tradizionale. Con questa mediazione, in ambienti medici sterili, si vorrebbe conciliare tradizione e norme sanitarie.
Si dovrebbe riflettere sul senso di questa mediazione rispetto alla dignità concreta della persona coinvolta. Che cosa significa, infatti, mediare su pratiche che riguardano il corpo? Il ginecologo somalo accetterebbe una pratica analoga nella sua stessa famiglia? E le autrici che suggeriscono queste mediazioni sarebbero disposte a riceverle su propri cari? Questi interrogativi nascono proprio dalla difficoltà di considerare la cultura non come un recinto chiuso in cui rinchiudersi, ma come una possibilità per interrogare la propria identità e accogliere l’altro senza perdere dignità.
Il ruolo delle culture nel confronto identitario
Le culture rappresentano un terreno per approfondire la propria storia e contemporaneamente un modo per confrontarsi con ciò che viene dall’esterno. Chi vive dentro una cultura ne sente la spinta originaria, ma non può ignorare l’esistenza e il valore dell’altro. Un insegnamento antropologico che sprofonda nel relativismo senza considerare questi passaggi riduce le persone a meri prodotti di blocchi culturali immutabili.
Antropologia, religione e la sfida del senso nella contemporaneità
Tra gli antropologi contemporanei Marc Augé ha offerto una visione netta e provocatoria. Nel libro Le tre parole che cambiarono il mondo immagina un futuro senza religione, nel quale il papa stesso dichiara la non esistenza di Dio. Questo annuncio, paragonato all’uomo folle di Nietzsche, segna una svolta globale verso l’ateismo di massa.
La narrazione di Augé richiama l’idea del Grande Inquisitore di Dostoevskij, dove la ragione deve prevalere e la religione passa come una malattia da cui guarire. Lo scenario ritratto pone la religione come un ostacolo al progresso razionale e laicista. Ma la realtà offre un quadro differente da questa visione: papa Francesco parla di “odore delle pecore” proprio per sottolineare il legame emotivo del pastore con la sua gente.
Molti antropologi sembrano invece privi di questo legame affettivo con i popoli studiati, senza il sentimento di pena per le loro sofferenze o la meraviglia per i riti che li definiscono. Mancano di quella vicinanza umana che hanno invece avuto i gesuiti delle reducciones che condividevano la vita, i dolori e le lotte dei guaraní. L’approccio laicista e relativista capita che produca un distacco dai contesti reali, dando l’impressione di lavorare più nel chiuso di uno studio che tra la gente vivente.
Il distacco teorico e la distanza dall’esperienza reale
Lo studio dell’antropologia dovrebbe intensificare l’incontro con le storie vive e i sentimenti dei popoli. Il distacco teorico e la neutralità pseudoscientifica rischiano di svuotare lo sguardo dalle nostre scuole. L’antropologia culturale dentro i licei può essere un ponte per comprendere profondamente l’altro, solo se accoglie le esperienze di sofferenza, di fede e di resistenza delle comunità umane.
I testi attuali, pur ricchi di nozioni, trascurano questa dimensione e così fanno mancare agli studenti il senso vero dell’incontro tra culture. Non è solo una questione didattica: riguarda le domande più fondamentali sull’identità, sul rispetto e sulla convivenza. L’insegnamento deve uscire dall’isolamento della teoria per tornare a respirare l’aria dei territori e delle vite, lasciando spazio al dolore e all’amore che definiscono l’altro e anche noi stessi.