Il ruolo di Netanyahu nella lotta all’antisemitismo tra alleanze controverse e tensioni internazionali
La gestione dell’antisemitismo da parte di Netanyahu in Israele solleva dubbi sulle sue alleanze con partiti di estrema destra in Europa, alimentando polemiche e divisioni all’interno della comunità ebraica.

L'articolo analizza le controversie legate alle strategie di Benjamin Netanyahu nella lotta contro l’antisemitismo, evidenziando le critiche per le sue alleanze con partiti di estrema destra europei e il dibattito internazionale che ne è seguito. - Unita.tv
La gestione della questione antisemita in Israele, con la recente intensificazione delle azioni del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha acceso un acceso dibattito in Europa e altrove. Le scelte politiche di Netanyahu, soprattutto riguardo alle sue alleanze con partiti di estrema destra europei, hanno sollevato dubbi sulle reali intenzioni alla base della lotta contro l’antisemitismo. Al centro delle critiche, la possibilità che queste alleanze possano innescare un nuova ondata di antisemitismo, invece di ridurlo.
La complessità dell’antisemitismo e la risposta politica in israele
L’antisemitismo ha radici profonde nella storia europea e mondiale, e rappresenta un fenomeno con molteplici manifestazioni che variano nel tempo e nello spazio. Israele, nato come patria del popolo ebraico dopo tragedie come l’Olocausto, considera la lotta contro questo fenomeno una priorità nazionale. Da anni, il governo israeliano si impegna affinchè non si ripetano gli orrori del passato, cercando di tenere alta l’attenzione internazionale.
Benjamin Netanyahu ha spesso ricordato l’importanza di combattere l’antisemitismo a livello globale. In più occasioni ha affermato che “la salvaguardia delle società democratiche dipende dalla loro capacità di affrontare questo flagello.” Eppure, alcune sue azioni e le alleanze con forze politiche vicine alla destra estrema in Europa hanno fatto sorgere dubbi. Queste alleanze, viste da molti come rischiose, mettono in discussione la coerenza e l’effettiva applicazione di queste parole che indicano la lotta all’antisemitismo come una linea rossa.
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Le strategie messe in campo da Netanyahu non sono state esenti da critiche. Alcuni osservatori sottolineano come questa tattica politica rischi di confondere gli obiettivi, spostando l’attenzione dalle cause profonde dell’antisemitismo a questioni di potere e consenso politico. Capire questa tensione è fondamentale per un quadro completo sulle contestazioni che attraversano oggi anche le comunità ebraiche europee.
La conferenza internazionale su antisemitismo a gerusalemme tra protagonisti controversi
Nel marzo 2025, il primo ministro Netanyahu ha promosso una conferenza internazionale a Gerusalemme dedicata proprio alla battaglia contro l’antisemitismo. L’iniziativa avrebbe dovuto segnare un momento di unità tra diversi attori politici e sociali contro l’odio antiebraico nel mondo. Tuttavia, alla luce della presenza di leader di partiti di estrema destra, l’evento ha sollevato dubbi e polemiche.
Tra gli invitati figuravano dirigenti del Rassemblement National francese e del partito ungherese Fidesz. Entrambi i partiti hanno nel proprio passato episodi discussi di retorica antisemita e posizioni notoriamente controverse. Il Rassemblement National, fondato da Jean-Marie Le Pen, è comunemente ricordato per dichiarazioni che hanno alimentato pregiudizi antiebraici. Questa presenza ha innanzitutto spaccato parte della comunità ebraica internazionale, che ha criticato la scelta di ospitare e collaborare con tali figure.
La pandemia di reazioni negative non ha impedito a Netanyahu di difendere la conferenza come un’occasione per ampliare il fronte contro l’antisemitismo globale. Ma l’eco di questi segnali contrastanti continua a farsi sentire. L’atteggiamento dell’esecutivo israeliano appare in questo senso ambivalente, dato che accostarsi a forze politiche con storie di antisemitismo rischia di minare la stessa credibilità del discorso contro l’odio antiebraico.
Le tensioni scaturite dall’evento riflettono con chiarezza una frattura interna al mondo ebraico e alle istituzioni che si occupano di questo tema, tra chi privilegia alleanze anche ambigue e chi invece invoca un rispetto rigido dei principi alla base della lotta contro tutte le forme di discriminazione.
Critiche a netanyahu: alleanze politiche e strumentalizzazione della lotta all’antisemitismo
Molti osservatori, tra cui il professor Giulio Sapelli, hanno espresso preoccupazioni riguardo la strategia adottata da Netanyahu. Secondo queste voci, il premier israeliano rischierebbe di alimentare indirettamente nuove forme di antisemitismo in Europa. L’accusa principale riguarda la scelta di costruire legami con partiti di estrema destra, che paiono più interessati a rafforzare il proprio consenso nazionale che carezzare un vero impegno contro l’odio antiebraico.
Sapelli ha sottolineato come errori politici di questo tipo possano portare a una percezione negativa dell’immagine israeliana, compromettendo al contempo gli sforzi nella lotta all’antisemitismo. La questione va oltre la semplice tattica, coinvolgendo la stessa credibilità di un impegno dichiarato.
In parallelo, Netanyahu ha indicato nell’estrema sinistra e nell’Islam radicale i maggiori responsabili dell’aumento di antisemitismo soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Questo punto di vista però viene spesso contestato perché appare vago e non tiene conto della complessità del fenomeno, che si manifesta anche in altri contesti e con altre motivazioni.
La focalizzazione su alcuni nemici politici può escludere altri fattori fondamentali, alimentando divisioni e ostilità tra diversi gruppi sociali. Il risultato è una lettura parziale e potenzialmente dannosa, che complica un dialogo sereno e costruttivo sulla questione.
Le ripercussioni internazionali delle alleanze di netanyahu
Le scelte di Netanyahu hanno fatto parlare anche tra gli alleati storici di Israele. L’appoggio o la convivenza con partiti vicini all’estrema destra europea ha sollevato preoccupazioni in certi ambienti politici occidentali, in particolare rispetto a valori come democrazia e diritti umani.
Alcuni di questi paesi hanno espresso riserve sulle implicazioni a lungo termine di queste alleanze. Il timore è che potrebbero indebolire le relazioni diplomatiche tradizionali, mettendo Israele in una posizione più isolata o conflittuale nel contesto internazionale.
La conferenza di marzo non è stata solo un’occasione politica, ma anche commerciale. Il governo israeliano ha sfruttato l’evento per promuovere tecnologie militari e sistemi di sicurezza già testati nei territori palestinesi. Questa mossa ha raccolto critiche da chi vede un uso mercificato della lotta contro l’antisemitismo come mero strumento di pubblicità per un’industria bellica.
L’intreccio tra interessi politici e economici rischia quindi di oscurare il vero senso della prevenzione e del contrasto dell’odio antiebraico, dando l’impressione che l’argomento venga piegato a fini non del tutto trasparenti.
La questione palestinese al centro del dibattito sull’antisemitismo
La relazione tra la questione palestinese e l’antisemitismo è un nodo cruciale che attraversa tutti i discorsi in Israele e all’estero. Netanyahu sostiene che negare il diritto di Israele a esistere equivale a una forma di antisemitismo. Questa posizione è spesso al centro delle polemiche perché tende a semplificare un conflitto complesso.
Il conflitto nei territori palestinesi, compresa la fase recente della guerra a Gaza, ha generato un aumento delle proteste globali contro le politiche israeliane. Netanyahu, da parte sua, ha definito queste manifestazioni come espressioni di un’alleanza tra ultra-sinistra e Islam radicale.
Questa visione polarizza ulteriormente il dibattito, dividendo chi vede nella sua strategia la volontà di proteggere Israele e chi invece la interpreta come una tattica per delegittimare le critiche sulle violazioni dei diritti umani. Il legame diretto tra queste dinamiche e l’antisemitismo resta ambiguo e dibattuto.
L’attenzione a questo aspetto è fondamentale per capire come le tensioni regionali finiscano per influenzare la percezione di Israele nel mondo e gli sforzi concreti di contrasto a ogni forma di odio razziale o religioso. Le posizioni rigide rischiano di oscurare la ricerca di soluzioni più equilibrate.