Il referendum “indigesto” per il pd: tensioni su tre quesiti e il ruolo di schlein e landini in vista del voto
Le tensioni nel Partito Democratico aumentano in vista del referendum del 2025, con divisioni interne su tre quesiti legati al Jobs Act e il rischio di astensionismo elettorale.

Il Partito Democratico è profondamente diviso sul referendum abrogativo del 2025, con tensioni interne tra la segretaria Schlein e i riformisti sul futuro del Jobs Act e la strategia da adottare. - Unita.tv
Le tensioni nel partito democratico si infittiscono proprio alla vigilia del referendum abrogativo previsto per l’8 e 9 giugno 2025. La sfida al voto arriva in un momento difficile per il Pd, con un clima interno attraversato da scontri fra le varie anime del partito. Al centro della discordia ci sono tre dei cinque quesiti referendari, legati alla riforma del lavoro introdotta dal governo Renzi, che spaccano la direzione del partito. Lo scontro coinvolge anche figure di spicco come la segretaria Elly Schlein e il leader sindacale Maurizio Landini, entrambi favorevoli alla cancellazione dei provvedimenti più controversi.
Il contesto politico e il peso del referendum sulle elezioni comunali 2025
Il referendum abrogativo si svolge mentre si concludono i ballottaggi delle elezioni comunali, creando un connubio delicato tra politica locale e nazionale. Con un’affluenza prevista assai bassa, intorno al 36%, secondo gli ultimi sondaggi, il peso dell’astensionismo emerge come fattore decisivo. Questo dato non solo penalizza il binomio rappresentato da Schlein e Landini, ma riflette anche un crescente distacco degli elettori dalle campagne referendarie.
La presenza di cinque quesiti, una parte dei quali riguarda il Jobs Act e la regolamentazione del lavoro, porta a un confronto acceso dentro il Pd. Le divisioni tra la maggioranza e i riformisti sono diventate evidenti, mettendo in luce un partito diviso su come gestire la propria posizione e il messaggio da veicolare agli elettori.
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In questo scenario, la posizione ufficiale di Schlein e del sindacato è netta: voto favorevole a tutti e cinque i quesiti. Ma l’ala più moderata, in particolare quella dei cosiddetti “riformisti Dem“, entra in rotta di collisione, sottolineando la difficoltà di mantenere un fronte compatto nella vigilia di un appuntamento elettorale così importante.
La lettera dei riformisti dem: un segnale di rottura sulla linea del partito
La spaccatura all’interno del Pd assume contorni chiari con la pubblicazione, il 13 maggio 2025, di una lettera aperta sul quotidiano La Repubblica, firmata da sei esponenti riformisti. Tra loro il presidente del Copasir Lorenzo Guerini e l’eurodeputata Pina Picierno, accompagnati da deputate e senatori di peso come Lia Quartapelle, Marianna Madia, Filippo Sensi e Giorgio Gori.
La lettera rappresenta un vero e proprio strappo rispetto alla linea ufficiale della segretaria Schlein, che insieme al leader della Cgil, Landini, sostiene l’abrogazione di tutti e cinque i quesiti. Invece, i firmatari invitano a un comportamento selettivo: sostegno solo ai quesiti 4 e 5 , mentre raccomandano di disertare quelli più controversi, 1, 2 e 3, che riguardano direttamente il Jobs Act.
Questo documento non nasce da un dibattito interno o da una Direzione del partito, bensì viene reso pubblico, amplificando la tensione. Lo scopo dichiarato è difendere quanto resta della riforma Renzi sulla protezione del lavoro e sulle politiche attive, evitare di cancellare elementi considerati positivi e di alimentare una spaccatura che potrebbe indebolire tutto il partito in vista delle elezioni.
Il nodo del Jobs Act, la critica ai sindacati e la divisione sugli appalti
Il cuore del conflitto è il Jobs Act, la riforma che nel 2015 ha cambiato il mercato del lavoro italiano. I sostenitori dell’abrogazione, tra cui Schlein e Landini, vedono in quelle norme una barriera al rafforzamento delle tutele salariali e un freno alla tutela dei lavoratori più deboli. Per contro, i riformisti rivendicano il valore di alcune parti della legge, in particolare le politiche attive, sottolineando come il sostegno a un salario minimo resti mancante e rappresenta un tema che va affrontato senza demolire il quadro normativo costruito.
Nei quesiti referendari che riguardano il Jobs Act, il rischio è quello di indebolire il sistema delle protezioni e creare incertezza nel mondo del lavoro. I contestatori invitano a evitare una scelta che cancellerebbe anche aspetti utili, destinati a restare vuoti senza una proposta alternativa chiara.
La lettera denuncia anche la rottura tra la Cgil, schierata duramente a favore dei referendum, e altri sindacati come la Cisl, favorevole all’astensione, e la Uil, che lascia libertà di voto. Questa spaccatura sindacale si riflette nel Pd, acutizzando le tensioni tra le diverse anime del partito, con il rischio di compromettere l’unità su un tema centrale come il lavoro.
Le conseguenze interne e il clima nel partito alla vigilia del voto
Le tensioni accumulate a causa della lettera pubblica e dei dissensi interni segnano un momento delicato per la segreteria Schlein. Dopo l’ultimo congresso tenutosi in Sicilia e le dispute sull’impegno europeo per il riarmo, il partito appare diviso e sotto pressione.
Questa situazione si presenta come un campanello d’allarme per il Pd in un momento in cui l’unità sarebbe cruciale. La spaccatura sulle questioni sociali e sul lavoro, insieme all’eventualità di un flop referendario causato dall’astensionismo, segnano un passaggio complicato per mantenere coesa una coalizione che deve anche prepararsi per le prossime sfide elettorali.
Ciò che resta chiaro è che i mesi successivi richiederanno capacità di gestione politica e mediazione più forti, con particolare attenzione all’equilibrio tra i vari gruppi interni. Alla vigilia del voto, il Pd si trova diviso su questioni decisive per la sua identità e per il rapporto con gli elettori più vicini.