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il rapporto istat 2025 svela ritardi e criticità nel lavoro e nelle condizioni sociali dei giovani in italia

Il rapporto Istat 2025 evidenzia le sfide sociali ed economiche in Italia, con focus su giovani, disparità di genere e territoriali, e la necessità di investimenti per migliorare produttività e salari.

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Il rapporto Istat 2025 evidenzia le sfide sociali ed economiche dell’Italia, con disuguaglianze persistenti tra territori, generazioni e genere, e sottolinea la necessità di investimenti in innovazione e produttività per migliorare salari e condizioni di lavoro. - Unita.tv

Il rapporto annuale Istat presentato nel 2025 disegna un quadro complesso della situazione sociale ed economica italiana. Attraverso una vasta raccolta di dati, il documento fotografa l’andamento di vari fenomeni, con particolare attenzione alle difficoltà che affrontano le nuove generazioni. I numeri evidenziano cambiamenti nei comportamenti sociali, nelle opportunità di lavoro, nelle disparità di genere e nelle condizioni economiche delle famiglie. La crescita economica e occupazionale non basta a colmare alcuni divari che persistono tra territori e categorie di lavoratori.

Cambiamenti nelle abitudini sociali delle nuove generazioni

Il rapporto offre un dettaglio significativo sui comportamenti dei giovani italiani. Nel confronto con la generazione dei loro genitori, si registra una netta riduzione nell’abitudine al fumo tra i venti-trentenni. Il consumo di alcol durante i pasti cala, segnalando scelte di vita più consapevoli tra i giovani. Però, al di fuori dei pasti, il consumo di alcol tra i più giovani supera del 30% quello della generazione adulta, un dato che resta preoccupante.

Formazione e miglioramenti economici

La lunga vita media cresce, con i giovani beneficiari diretti di quel miglioramento. La formazione si allarga: il tasso di laureati sul totale degli occupati è passato dal 14,1% fino al 19,4%. Tra i giovani il dato supera il 25%, confermando l’università come chiave per migliori prospettive lavorative e retributive. Nel 2022, chi guadagna bene è spesso laureato o diplomato e gode di condizioni economiche più favorevoli rispetto alla famiglia d’origine.

Nonostante qualche miglioramento, i dati mostrano barriere pesanti. La scarsa formazione delle famiglie d’origine si riflette nell’accesso all’università: solo il 17,6% dei ragazzi provenienti da famiglie con basso livello di istruzione arriva alla laurea, mentre tra quelli con genitori laureati la quota raggiunge il 75%.

Disparità territoriali e condizioni di lavoro delle donne

Le distanze tra Nord e Sud restano evidenti. I giovani residenti nel Mezzogiorno trovano più difficoltà a migliorare la propria condizione economica rispetto alla famiglia di origine. Solo spostandosi nelle zone più industrializzate del Paese si osservano guadagni salariali del 40-60% superiori.

Le donne soffrono ancora visibilmente sul mercato del lavoro. Il divario di reddito persiste anche a parità di ruolo e qualifica. Una quota significativa, intorno al 75%, del lavoro part-time è involontaria e femminile, riducendo ulteriormente la media degli stipendi. Questo contribuisce a mantenere differenze che pesano sul benessere economico e sulle capacità di indipendenza.

La fatica dei giovani specialisti

Un’altra difficoltà riguarda i giovani altamente preparati, in particolare quelli con profili legati alla ricerca e alle tecnologie digitali. Lo scarso investimento nazionale in ricerca e sviluppo, la struttura delle imprese e la lenta adozione dell’intelligenza artificiale frenano lo sviluppo. Molti giovani specialisti scelgono di andare all’estero, mentre il ritorno in italia resta complicato per molti.

Crescita occupazionale e i limiti della produttività

L’ occupazione in italia ha raggiunto livelli record: il tasso del 63% a fine 2024 è passato oltre il 64%, il più alto mai registrato nel paese. Il prodotto interno lordo , però, ha visto un aumento solo del 9,3% negli ultimi 24 anni. Nel frattempo, paesi come Germania e Francia hanno registrato incrementi vicino al 30%, mentre in Spagna si è arrivati al 45%.

La quantità di lavoro è cresciuta quasi come in Europa, ma a prezzo di una produttività calante. Il Pil prodotto per ogni occupato si è ridotto del 5,8%, mentre in quei paesi indicati è aumentato tra il 10 e il 12%. Anche il Pil per ora lavorata ha mostrato una crescita minima dello 0,7%. Questi dati spiegano la perdita dei salari reali, cioè il potere d’acquisto dei lavoratori, che negli ultimi anni non ha seguito l’inflazione.

Nonostante nel biennio recente gli accordi contrattuali abbiano migliorato qualche aspetto, il reddito familiare disponibile è cresciuto soprattutto grazie alla maggiore occupazione, ma la reale capacità di spesa resta limitata. Questo fenomeno tiene sotto controllo eventuali tensioni sociali, mentre il numero medio dei componenti per famiglia diminuisce.

La crescita dei redditi nasconde profondi divari nel mercato del lavoro italiano

I dati medi sul reddito familiare e sulla crescita del 4,2% del reddito mediano convivono con realtà molto diverse. Le fasce di lavoratori meno qualificate si trovano spesso in condizioni vicine alla povertà. La maggior parte dei nuovi posti di lavoro si concentra in servizi a bassa produttività, senza investimenti rilevanti o innovazioni tecnologiche.

Si è così creato un gruppo di “lavoro povero” che non spinge verso l’autonomia economica delle famiglie. Questi sono i segmenti più fragili del mercato del lavoro italiano, con contratti precari e salari insufficienti.

Un sistema economico da rivedere

Il quadro complessivo emerge come un sistema economico traballante, dove le disuguaglianze salariali e le condizioni di lavoro richiedono attenzione. Serve un cambio di passo negli investimenti produttivi e nell’innovazione digitale, oltre che un intervento sulla pubblica amministrazione per sostenere meglio la crescita.

Criticità dei provvedimenti sociali e la strada verso la crescita salariale

Gli ultimi anni hanno visto l’applicazione di diversi bonus e misure a carattere emergenziale per fronteggiare la povertà. Nonostante questo, l’Istat fotografa un aumento delle disuguaglianze. Le risorse destinate agli aiuti diretti non hanno arginato il problema.

Spostare risorse verso investimenti capaci di aumentare la produttività e di sostenere i salari potrebbe cambiare la direzione. Questo sostegno aiuterebbe a generare più consumi interni e a rafforzare la tenuta delle famiglie, oggi messe alla prova dall’aumento costante dei prezzi e dalla stagnazione dei salari.

La proposta comporterebbe anche una sfida per i sindacati e le parti sociali. Recuperare il terreno perso in termini di reddito e condizioni di lavoro passa attraverso responsabilità condivise, con uno sguardo rivolto al futuro e non più indirizzato a vecchie controversie già superate nel dibattito pubblico, come emerso dai recenti referendum.