Home Il meccanismo cbam e le sue ripercussioni sulle industrie europee ad alta emissione di carbonio nel 2025

Il meccanismo cbam e le sue ripercussioni sulle industrie europee ad alta emissione di carbonio nel 2025

Il CBAM, meccanismo europeo per limitare le importazioni ad alta impronta di carbonio, solleva preoccupazioni tra le industrie europee per la sua applicazione e potenziali distorsioni competitive.

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Il CBAM è un meccanismo europeo che tassa le importazioni ad alta emissione di carbonio per proteggere le industrie UE, ma presenta criticità legate a controlli inefficaci, disparità tra prodotti e rischi per la competitività delle imprese europee. - Unita.tv

La nuova misura europea CBAM, Carbon Border Adjustment Mechanism, è pensata per limitare l’ingresso di prodotti ad alta impronta di carbonio provenienti da paesi extra UE. Ha lo scopo di evitare distorsioni nel mercato a favore delle aziende che non rispettano standard ambientali simili a quelli europei. Questo sistema, che dovrebbe entrare pienamente in vigore nel 2026, rischia però di generare problemi profondi a svariate industrie, senza che ci siano ancora risposte concrete alle criticità rilevate dagli operatori economici.

Cos’è il cbam e perché è stato introdotto dall’europa

Il CBAM nasce sotto l’egida del Green Deal europeo, come strumento di tutela ambientale e commerciale. Impone agli importatori di prodotti semilavorati, come quelli chimici o cementizi, di pagare una tassa calcolata in base all’impronta di carbonio del prodotto importato. Questo deve avvenire richiedendo un certificato al produttore estero che attesti le emissioni generate nella produzione. L’importo applicato corrisponde a quello che l’impresa avrebbe dovuto pagare se il prodotto fosse stato realizzato in Europa, dove vigono rigorose regole sull’emissione di CO2.

Obiettivo e collegamenti col sistema ets

L’obiettivo dichiarato è scoraggiare la produzione in paesi con standard ambientali meno severi, evitando che le imprese europee si trovino in svantaggio competitivo. Il meccanismo si collega allo schema ETS, un sistema di scambio di quote di emissione che determina limiti e prezzi sulle emissioni consentite alle aziende europee. Ma il CBAM aggiunge un livello di controllo sulle importazioni diretto a impedire il cosiddetto “carbon leakage”, ossia lo spostamento delle produzioni ad alta emissione fuori dall’UE.

Le critiche sul campo: problemi di applicazione e disparità del sistema

Le aziende segnalano diverse difficoltà. Primo nodo è l’attendibilità dei certificati esteri: le dogane europee non hanno esperienza o potere per verificare l’accuratezza dei dati forniti da paesi lontani come Indonesia o Brasile. Si basano quindi solo sulla documentazione, senza strumenti per controlli efficaci. Questo lascia spazio a dubbi sulla correttezza delle rilevazioni.

Secondo, il CBAM colpisce solo i semilavorati importati ma non i prodotti finiti da paesi esterni all’UE. Così, per esempio, se un produttore europeo importa bramme estere e le trasforma in componenti per auto, quel processo è tassato, mentre il camion completo importato da un concorrente cinese non paga alcuna tassa carbonica. Quella disparità apre una competizione su prodotti finiti già pronti, mettendo in difficoltà i trasformatori europei.

Si è ventilata l’ipotesi di estendere la tassazione anche ai prodotti finiti, ma ciò comporterebbe una mole burocratica enorme, penalizzando soprattutto le piccole e medie imprese. Inoltre, molti settori non possono realmente decarbonizzare: l’esempio frequente è quello del cemento, la cui produzione richiede processi chimici che non si possono elettrificare o eliminare facilmente. Queste aziende si troverebbero a pagare la tassa obbligatoriamente, senza mezzi per ridurre le emissioni.

Il caso della siderurgia italiana e le contraddizioni nelle politiche europee

La siderurgia in Italia è uno dei settori più avanzati nel passaggio ai forni elettrici, che riducono le emissioni rispetto alle tecniche tradizionali. Nonostante ciò, i produttori italiani sono penalizzati perché le norme europee hanno eliminato molte quote gratuite di CO2. In particolare, la produzione di acciaio per il profondo stampaggio – usato nelle carrozzerie auto – non è ancora completamente elettrificabile.

Importazioni svantaggiose e politiche europee

Questo crea una controindicazione evidente: l’industria europea si trova a dover acquistare lama da paesi come Giappone, Cina o Corea, che invece non sono soggetti a restrizioni analoghe. Le decisioni di Bruxelles sembrano non tenere conto di queste differenze tecniche e rischiano di svantaggiare la manifattura europea, compreso il settore automobilistico.

Dietro questo atteggiamento ci sarebbe una condivisione ideologica a livello europeo, che tende più a imporre standard rigorosi senza ascoltare le realtà produttive. I funzionari Bruxelles, privi di una legittimazione elettorale diretta, insisterebbero nel rimandare le scadenze e spostare le pene anziché modificare norme che danneggiano le industrie. Anche le sanzioni per le case automobilistiche che non rispettano la quota di veicoli elettrici sono state rinviate.

Le accuse e le difficoltà politiche nella gestione del green deal europeo

Tony Blair ha definito gli obiettivi europei per il 2050 irraggiungibili, in quanto basati su politiche ambientaliste senza sufficiente flessibilità tecnologica. Un’analisi realistica evidenzia che la UE è responsabile di meno del 7% delle emissioni globali, mentre la produzione mondiale di CO2 cresce ogni anno. La leadership europea in materia ambientale, perno del Green Deal, si scontra con la realtà dei fatti: paesi come Cina, con grandi emissioni, aumentano la produzione di carbone.

Bruxelles ha annunciato modifiche al CBAM, tra cui l’esenzione per aziende con meno di 250 dipendenti, ma i grandi impianti chimici, siderurgici e del vetro superano di molto questa soglia. In effetti, la UE affronta un blocco politico e industriale. Il rischio è di instaurare dazi ambientali che portino a ritorsioni commerciali da parte di paesi esteri. Questo potrebbe danneggiare ulteriormente esportazioni di manufatti, già fondamentali per paesi come l’Italia.

La situazione è figlia di una coalizione politica composta da ambientalisti radicali, stati del nord Europa poco attenti all’industria e interessi finanziari che hanno trasformato le quote di emissione in un mercato speculativo. Le scelte fatte negli ultimi anni mostrano una forte impronta ideologica che ha difficoltà a confrontarsi con la realtà produttiva e commerciale.

Prospettive e nodi irrisolti nel meccanismo cbam e le aziende europee

L’attuale meccanismo CBAM rischia di approdare a un cul-de-sac. Le industrie europee non capiscono come potranno restare competitive a fronte di un sistema che non premia chi ha già investito nella riduzione delle emissioni e penalizza chi, pur volendo, non può adattarsi. La proposta di allargare il sistema anche ai prodotti finiti potrebbe complicare le procedure e aggravare il peso burocratico.

Il nodo cruciale è superare la contraddizione di avere dazi ambientali che diventano barriere commerciali non solo per la concorrenza estera, ma anche per le esportazioni europee. I paesi concorrenti reagiranno con misure simili e il rischio è la guerra commerciale in nome della tutela dell’ambiente, senza un coordinamento globale efficace.

Per il momento, il CBAM resta un esperimento con molte incognite davanti. Le imprese italiane, fortemente esposte alle esportazioni, mostrano preoccupazione per un futuro incerto. Senza un intervento che contempli le diverse caratteristiche produttive, la misura rischia di essere un ostacolo serio più che un aiuto alla lotta contro i cambiamenti climatici.