Il governo israeliano approva l’espansione delle operazioni militari nella striscia di gaza con piano dettagliato
Tel Aviv approva un piano militare per estendere le operazioni nella Striscia di Gaza, con conseguenze significative per la popolazione civile e gli equilibri regionali, mentre cresce la crisi umanitaria.

Israele ha approvato un piano militare per ampliare le operazioni nella Striscia di Gaza, includendo spostamenti forzati di civili e un controllo più stretto del territorio, mentre la crisi umanitaria peggiora e le Nazioni Unite criticano le nuove restrizioni sugli aiuti. - Unita.tv
Tel Aviv ha dato l’ok definitivo al nuovo piano militare per estendere le operazioni nella Striscia di Gaza, modificando radicalmente la situazione sul campo. La decisione, presa dal gabinetto di sicurezza israeliano, prevede un aumento significativo delle attività militari e un ridisegno delle aree sotto controllo. La mossa segna un punto di svolta dopo mesi di tensioni e continua incertezza, con conseguenze che riguardano la popolazione civile e gli equilibri regionali.
Il piano israeliano e la tempistica delle operazioni
Il piano per ampliare le operazioni militari nella Striscia di Gaza è stato approvato all’unanimità dal gabinetto di Tel Aviv domenica sera. Secondo fonti di Haaretz, un alto funzionario della sicurezza ha confermato che l’espansione non partirà prima della fine della visita del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, prevista per metà maggio. Questa pausa temporale è legata anche all’eventuale raggiungimento di un accordo sugli ostaggi, nodo cruciale che resterà sul tavolo fino ad allora.
Le nuove operazioni sono conosciute con il nome di “Gideon’s Chariots” e prevedono non solo un incremento delle azioni militari, ma anche un piano di spostamento della popolazione civile. In particolare, si stabilirà una “zona sterile” nell’area di Rafah, dove i residenti dovranno subire controlli. Solo dopo l’avvio dell’operazione sarà possibile ripristinare la distribuzione degli aiuti umanitari, sospesi fino a quel momento.
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Il quadro delineato dal governo israeliano mostra un piano su larga scala, ma che evita ancora di colpire direttamente le zone in cui si sospetta la presenza degli ostaggi. Questo induce a pensare a un’azione strategica che vuole evitare rischi diretti sui prigionieri, pur ampliando territorialmente le zone sotto controllo militare.
La nuova geografia di gaza: sfollamenti e controllo territoriale
Il piano implica un’occupazione a tempo indeterminato di vaste porzioni della Striscia di Gaza, con la modifica delle aree di controllo e un trasferimento forzato dei residenti verso il Sud. Secondo Ynet, l’obiettivo dell’esercito israeliano si concentra su una conquista progressiva di territori, senza però puntare a un’occupazione totale del territorio. Le operazioni includono una bonifica intensiva delle zone liberate e un’azione particolare nei tunnel sotterranei, considerati dalla sicurezza israeliana uno dei maggiori pericoli.
La cosiddetta “Riviera Gazawi” immaginata dal presidente Trump – una porzione costiera rilanciata ma senza la presenza palestinese – sembra influenzare le strategie del premier Benjamin Netanyahu. La presenza palestinese nella Striscia è vista come un ostacolo, e il piano suggerisce uno spostamento di massa verso aree meno definite, lasciando aperte molte incognite sul futuro dei profughi.
Questi sviluppi hanno provocato frizioni all’interno della società israeliana. Le famiglie degli ostaggi hanno occupato le strade davanti al complesso governativo di Kiryat HaMemshala a Gerusalemme, chiedendo risposte più immediate. Le proteste sono sfociate in scontri con la polizia. Particolarmente singolare è stata la posizione del capo di stato maggiore israeliano, Eyal Zamir, che ha ammonito sulla possibilità che l’operazione metta a rischio proprio la sorte degli ostaggi.
Le accuse di hamas e la crisi umanitaria sempre più grave
Dal fronte palestinese, Hamas accusa Israele di usare la questione degli aiuti umanitari come strumento di pressione. La grave emergenza nella Striscia continua a peggiorare, e secondo fonti ANSA le scorte di aiuti potrebbero esaurirsi nel giro di due settimane. In questo contesto, ci sono state segnalazioni di saccheggi nei magazzini, talvolta protagonisti anche i miliziani di Hamas, che si contendono le risorse scarse.
Un’intellettuale voce critica arriva dall’opinionista di Haaretz, Peter Lerner, che definisce gli aiuti umanitari a Gaza non solo un imperativo morale, ma anche una questione di sicurezza nazionale. Lerner sostiene che le operazioni militari nelle aree densamente popolate aumentano solo la radicalizzazione e il risentimento internazionale. Gli obiettivi di Israele si confermano il disarmo di Hamas e il recupero degli ostaggi, ma senza una strategia chiara per tutelare la popolazione civile la situazione rischia di aggravarsi.
Le azioni aeree, i raid di terra e la creazione di corridoi controllati potranno ridurre le capacità militari di Hamas, ma non eliminano l’ideologia che sostiene il conflitto. Il peggioramento della crisi umanitaria potrebbe alimentare nuove tensioni con effetti imprevedibili sul lungo periodo. Intanto la popolazione civile rimane intrappolata in una situazione di crescente vulnerabilità.
Le risposte internazionali e la posizione delle nazioni unite
Le Nazioni Unite hanno espresso una netta contrarietà rispetto al piano israeliano, in particolare alle nuove regole per la distribuzione degli aiuti umanitari. L’Onu si oppone al sistema che esclude la distribuzione all’ingrosso e impone che le consegne siano affidate a organizzazioni internazionali, con il controllo diretto dell’IDF alle spalle. Questa modalità rischia di ostacolare seriamente la distribuzione degli aiuti alla popolazione, oltre a complicare i meccanismi di assistenza.
Il ruolo dell’IDF resterebbe quello di garantire la sicurezza delle organizzazioni internazionali coinvolte, ma l’intervento militare diretto nella gestione degli aiuti porta a forti critiche. Le Nazioni Unite denunciano come queste procedure possano di fatto trasformarsi in una forma di controllo che limita l’accesso effettivo da parte dei civili e riduce la capacità di contrastare l’emergenza umanitaria.
La soluzione auspicata passa per un dialogo internazionale e condizioni che permettano consegne rapide e sicure. Ma la realtà sul terreno appare distante da questo scenario, con la guerra e la crisi umanitaria che si intrecciano in un quadro di crescente instabilità, senza segnali chiari di riduzione delle tensioni.