Guerra e vocazione: seminari greco-cattolici di kiev tra fede e conflitto nel 2025
A Kiev, i seminaristi greco-cattolici affrontano la guerra riflettendo su fede e vocazione, cercando risposte esistenziali in un contesto di incertezze e sfide spirituali.

A Kiev, sotto il peso della guerra, seminaristi greco-cattolici riflettono sul senso della vita, la fede e la vocazione, cercando risposte profonde in un contesto di paura e incertezza. - Unita.tv
Gli ultimi mesi a kiev raccontano una vita sospesa tra la guerra e la ricerca spirituale. Con seminari greco-cattolici, seminaristi e amici stiamo seguendo un percorso di lettura online di “Il senso religioso” di don Giussani, un testo che accompagna i giovani in un momento segnato dal conflitto. Queste vite, segnate dalla guerra e da scelte profonde sul futuro, si concentrano su domande sulla fede, la vocazione e il senso ultimo della vita, in un contesto difficile e incerto.
La vita dei seminaristi greco-cattolici nel cuore della guerra
Sono seminaristi di un rito orientale, la Chiesa greco-cattolica, che devono affrontare decisioni cruciali. Prima dell’ordinazione, si confrontano con la scelta tra la verginità consacrata e il matrimonio. Nel secondo caso, anche le loro future mogli devono riflettere sull’idea di sposare un prete, seguendo un cammino non comune. Le difficoltà non sono solo spirituali, ma tangibili. Di notte missili e droni sorvolano la città senza prevedere dove cadranno. Il terrore non è astratto. Ogni momento è segnato dall’incertezza della fine violenta, per sé o per altri.
La guerra altera il ritmo di vita di tutti. Non solo i soldati, ma anche chi cerca di mantenere saldo il proprio cammino spirituale. Questi giovani cercano risposte su domande che molti evitano: qual è il vero senso della vita? Perché esiste il dolore e la morte? In mezzo ai bombardamenti, i pensieri tornano a queste verità profonde. La domanda “Perché c’è la guerra?” incalza, ma soprattutto si riflette su come produrre senso e trovare un perché alla propria esistenza in quelle circostanze estreme.
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Le difficili domande sul senso della vita sotto i bombardamenti
L’episodio di una telefonata online in cui si legge il libro di don Giussani rivela un fatto importante: anche sotto assedio c’è spazio per riflettere sul proprio destino. Le inquietudini più profonde emergono in quel momento. Non c’è solo la lotta per la sopravvivenza, ma un’esplorazione di senso, esistenziale e spirituale. Il testo tocca questioni che riguardano tutti gli uomini, ovvero il motivo ultimo dell’esistenza e il perché di sofferenza e morte.
A chi vive in guerra sembra impossibile dare risposte semplici. Ogni riflessione si fa urgente e necessaria. Serve ripensare non solo all’attuale condizione, ma anche al futuro della propria vocazione. Tra un attacco e l’altro si prova a calibrarsi, a scegliere come vivere, cosa lasciare e cosa abbracciare. La ricerca di un orizzonte valido diventa un’azione concreta e non solo teorica.
Esperienze personali che segnano la vocazione e il cammino di fede
Nel dialogo con i seminaristi torna spesso un ricordo personale di chi scrive: l’attentato subito nel 1986 da parte di un gruppo comunista. Quella violenza, che avrebbe potuto spezzare un cammino, non ha frenato la scelta di diventare prete. Anzi, un sacerdote lanciò una riflessione precisa: “non bisogna fermarsi al perché di questa sofferenza. La vera domanda è che cosa il Signore chieda vivendola.”
Questo pensiero è stato fondamentale per comprendere come la vocazione non si limita a escludere dolore o pericolo, ma include il modo in cui si affrontano. Ha contribuito alla decisione di partire in missione in ex territori sovietici, per una conversione spirituale da portare avanti anche in contesti ostili.
Raccontare questo ai seminaristi non è solo un passaggio di memoria. È un tentativo di restituire senso a chi si trova a scegliere in un momento difficile. La loro esperienza non è solo personale, ma rappresenta un segno dei tempi in cui la fede cerca un suo posto concreto nonostante la guerra.
Il contesto geopolitico e la pressione sulle comunità religiose ucraine
Negli ultimi incontri si sono toccati anche i nodi geopolitici. Vadim Novinsky, uomo politico e imprenditore con radici in Ucraina, ha descritto le tensioni tra il presidente zelensky e la Chiesa ortodossa ucraina, parlando di una caccia alle streghe e di ostacolo alla pace con la Russia. Intanto Mosca ribadisce la sua richiesta di neutralità per kiev e la fine dell’espansione della NATO verso est, condizioni da cui dipenderebbe il cessate il fuoco.
Il vertice Nato all’Aia ha confermato la richiesta di investire il 5% del Pil nella difesa e ha ribadito l’intenzione di sostenere kiev nell’adesione all’Alleanza. L’Italia ha posto l’accento sulla necessità di combattere la disinformazione, che rende ancora più complesso il quadro ucraino, a livello politico e sociale.
Le comunità religiose si trovano a fare i conti con questo scenario. La guerra non è solo uno scontro militare, ma un terreno su cui si misurano fede, identità e alleanze. Gli attacchi e le pressioni politiche hanno ripercussioni sulla libertà di credere e di scegliere.
Le serate di confronto con i seminaristi mostrano un quadro fatto di luci e ombre, di domande e risposte sospese. kiev, città sotto assedio, diventa uno spazio in cui la fede si interroga sulle guerre del presente e le vocazioni future. Le scelte di questi giovani raccontano una realtà complessa, fatta di momenti di paura, ma anche di ricerca di senso e di impegno religioso.