Home Femminicidio, ottanta giuriste sollevano dubbi sul nuovo disegno di legge: serve più prevenzione e cultura

Femminicidio, ottanta giuriste sollevano dubbi sul nuovo disegno di legge: serve più prevenzione e cultura

Il disegno di legge sul femminicidio solleva preoccupazioni tra giuriste italiane, che chiedono un approccio basato su prevenzione ed educazione piuttosto che su pene automatiche e repressione.

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Un gruppo di giuriste italiane critica la proposta di legge sul reato autonomo di femminicidio, sottolineando che senza prevenzione, educazione e cambiamento culturale la riforma rischia di essere inefficace. - Unita.tv

Il recente disegno di legge che propone un reato autonomo per il femminicidio apre un dibattito acceso in ambito giuridico e sociale. Un gruppo di ottanta giuriste e accademiche italiane, con esperienza sul diritto penale e la violenza di genere, mette in guardia contro una riforma che rischia di rimanere solo teorica. Le firmatarie chiedono un approccio che vada oltre la repressione, puntando su prevenzione, educazione e trasformazione culturale. L’argomento sarà presto discusso in Commissione Giustizia al Senato, dove si attendono posizioni contrastanti.

Perplessità sulle misure penali proposte per il femminicidio

Le giuriste coinvolte, tra cui Maria Virgilio e Silvia Tordini dell’università di bologna, evidenziano come l’introduzione di un reato autonomo per il femminicidio non porti a risultati tangibili nel ridurre i casi di violenza grave contro le donne. Ritengono che l’intervento legislativo rischi di avere un valore simbolico più che sostanziale. La normativa attuale, spiegano, già prevede pene severe per l’omicidio, compresi quelli a sfondo di genere. Inoltre, la proposta di ergastolo automatico nei casi di femminicidio non rispetterebbe i principi costituzionali legati alla funzione rieducativa della pena e alla valutazione del contesto specifico da parte dei giudici.

Secondo le studiose, la legge così strutturata non riesce a toccare le cause profonde del fenomeno. Il femminicidio va letto come l’esito di una spirale di discriminazioni e violenze che si sviluppano nel tempo. La giurisprudenza italiana ha già affrontato casi emblematici, come quelli di Cecchettin e Tramontano, dimostrando che si possono infliggere condanne esemplari anche senza nuove norme. In più, l’idea che pene più severe possano frenare questi crimini non tiene conto della natura impulsiva o ossessiva di molti aggressori. Così, le risorse necessarie per affrontare la questione restano insufficienti, con pochi fondi per i centri antiviolenza e nessuna previsione per piani educativi a lungo termine.

La necessità di un cambio culturale nella lotta alla violenza di genere

Al centro del documento delle giuriste c’è la richiesta di uscire da una logica che punta solo alla repressione penale. Per Silvia Tordini la violenza contro le donne è spesso il risultato di un sistema di discriminazioni quotidiane, che si manifestano nei luoghi di lavoro, nei media e nelle relazioni familiari. Questo sistema va smontato pezzo dopo pezzo, intervenendo sugli stereotipi di genere che rendono accettabile la sopraffazione e la disuguaglianza.

Le firmatarie sottolineano l’importanza di investire nella formazione di magistrati, forze dell’ordine, operatori sociali, affinché riconoscano le diverse forme di violenza, anche quelle meno visibili come quella psicologica o economica. Si evidenzia la necessità di campagne pubbliche volte a modificare mentalità radicate nel tempo. Solo agendo su questo piano culturale, si può sperare di ridurre concretamente la violenza e sostenere le vittime in maniera più efficace.

La denuncia è chiara: senza un cambiamento che parta dai contesti sociali e culturali, ogni intervento legislativo rischia di rimanere sterile e incapace di fermare la spirale di morte e violenza che ogni anno colpisce migliaia di donne in italia.

Criticità sull’imposizione di pene automatiche e sugli effetti della riforma

L’appello delle giuriste accende un riflettore specifico sull’idea di applicare l’ergastolo in modo automatico ai casi di femminicidio. Secondo loro, questa disposizione contrasta con la costituzione italiana che sancisce la pena come strumento di rieducazione e prevede che ogni caso venga valutato individualmente. La rigidità proposta potrebbe ledere questo principio fondamentale e non contribuire a prevenire nuovi casi.

Le studiose ricordano che la normativa attuale consente già di applicare pene severe, ma che queste vanno bilanciate con una valutazione attenta delle circostanze in ogni caso concreto. Il rischio è che una legge troppo rigida finisca per avere solo un impatto mediatico, senza cambiare nulla nella pratica giudiziaria.

Conseguenze negative e distrazioni dalle misure concrete

Sono poi evidenziate possibili conseguenze negative, come la mancanza di attenzione verso strutture di accoglienza per le vittime o verso misure preventive nelle scuole e nella società. Il timore è che la discussione sulla legge distragga dal lavoro su misure più concrete e necessarie, lasciando così aperti i problemi reali che alimentano la violenza di genere.

Appello per una strategia a lungo termine contro la violenza sulle donne

Le ottanta giuriste concludono il documento con un appello rivolto a chi prende decisioni in parlamento: serve cautela, non si devono adottare soluzioni affrettate o dettate dall’emotività del momento. Il cammino per contrastare il femminicidio passa attraverso la costruzione di un piano articolato che inserisca la prevenzione, il sostegno alle vittime, e percorsi per chi commette reati di minore gravità.

Si invita a evitare narrazioni trionfalistiche su riforme che sembrano «risolutive» ma rischiano di restare inefficaci. Il vero risultato si otterrà solo grazie a interventi profondi, mirati a trasformare la cultura e le mentalità che ancora tollerano la disparità e la violenza tra generi, difendendo i diritti fondamentali di tutte le persone. Promuovere queste azioni è fondamentale per affrontare davvero una piaga sociale che continua a provocare dolore e ingiustizie in italia.