Emanuele de maria, la strage di milano e il dibattito sulla semilibertà: cosa sappiamo finora
Il caso di Emanuele De Maria, detenuto per omicidio, si complica dopo la tragedia a Milano: uccide una donna e si suicida. Emergono interrogativi sulla semilibertà e il controllo penitenziario.

Emanuele De Maria, detenuto con precedenti per omicidio, ha ucciso una donna a Milano, ferito un collega e si è suicidato gettandosi dal Duomo. Il caso riapre il dibattito sulle misure alternative come la semilibertà e sulle condizioni di detenzione rigide che non hanno evitato la tragedia. - Unita.tv
Il caso di emanuele de maria ha scosso milano e l’opinione pubblica dopo la tragedia di domenica scorsa. Il 35enne, già condannato per omicidio, ha ucciso una donna, ferito un collega e poi si è tolto la vita gettandosi dal duomo. Il suo avvocato ha rilasciato dichiarazioni che offrono nuove chiavi di lettura sulle condizioni di detenzione e sulla possibile concessione di misure alternative come la semilibertà. Ecco tutti gli sviluppi recenti sul caso che continua a suscitare interrogativi.
La proposta di semilibertà e il contesto penitenziario di emanuele de maria
Nella mattinata successiva al drammatico episodio, l’avvocato di emanuele de maria ha parlato alla trasmissione di rai uno, storia italiane, soffermandosi sulla situazione legale del suo assistito. Ha rivelato che era in fase di valutazione la richiesta di semilibertà, una misura che avrebbe ampliato il percorso di custodia con possibilità di uscita controllata, ma che non era ancora stata formalmente presentata. Questo passaggio avrebbe potuto modificare gli spostamenti e i contatti di de maria, ora soggetti a rigide limitazioni in carcere.
Il legale ha descritto de maria come un detenuto modello, in grado di rispettare le regole, e ha confermato che sarebbe stato possibile per lui lasciare la prigione fra cinque anni, considerata la condanna definitiva a 14 anni per l’omicidio di una giovane prostituta. Il riferimento alla semilibertà inserisce un elemento complesso nel dibattito, soprattutto alla luce dei fatti recenti. Il percorso di valutazione riguardava, in particolare, la possibilità di estendere l’accesso fuori dalla struttura penitenziaria, mantenendo però un controllo puntuale sui movimenti e sulle frequentazioni del detenuto.
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I motivi dietro la tragedia: il tracollo psicologico secondo il legale
Le parole dell’avvocato hanno posto luce su uno stato d’animo particolare che avrebbe colpito emanuele de maria poco prima della tragedia. L’avvocato ha raccontato di come, nel suo parere, si sia verificato un vero e proprio tracollo psicologico che ha fatto scattare in lui una reazione estrema. Quanto avvenuto non sarebbe stato prevedibile dall’esterno, neppure da chi lo conosceva più da vicino.
Secondo la ricostruzione, dopo aver commesso il primo atto violento, de maria si sarebbe reso conto della portata irreversibile delle sue azioni, da quel momento in avanti non avrebbe visto vie d’uscita, conducendolo a compiere il gesto estremo di lanciarsi dal duomo. Questo comportamento ha sorpreso anche chi ha seguito il suo percorso giudiziario e penitenziario.
Le restrizioni imposte in carcere e le modalità di controllo su emanuele de maria
L’avvocato ha precisato che la detenzione di emanuele de maria avveniva in condizioni molto rigorose. Il reo doveva affrontare un tragitto limitato per gli spostamenti interni, oltre a restrizioni concrete sui contatti con altri detenuti. Per poter parlare con qualcuno, avrebbe dovuto chiedere un permesso specifico.
L’unica eccezione era rappresentata dal luogo di lavoro all’interno dell’istituto, dove de maria poteva interagire con i colleghi di lavoro. Questi rapporti, obbligatori per la sua attività lavorativa, erano sottoposti a controllo ma rappresentavano la sua unica occasione di socialità e confronto diretto. Questo dettaglio mostra una dinamica detenuto-lavoratore che, però, non ha impedito che scattasse la reazione fatale.
Il mistero della ciocca di capelli e le implicazioni sulla natura del crimine
Tra gli aspetti più inquietanti del caso emerge il racconto di un particolare insolito: una ciocca di capelli trovata nella tasca di emanuele de maria. La notizia, non ancora confermata ufficialmente, lascia aperta l’ipotesi che i capelli possano appartenere alla vittima dell’omicidio più recente.
Se confermata, questa circostanza potrebbe indicare un comportamento sistematico da parte di de maria, tipico di chi conserva “trofei” delle proprie vittime, un atteggiamento più simile a quello di un serial killer che a quello di un episodio isolato o impulsivo. Questo elemento contribuisce a far emergere una lettura del fatto che va oltre l’eventuale fragilità psicologica del soggetto, suggerendo una pericolosità persistente.
Le riflessioni sull’eventuale leggera gestione della semilibertà e le criticità emerse
Il bilancio degli eventi porta a chiedersi se un sistema di controlli più stretto o una diversa gestione della misura alternativa avrebbe potuto evitare la tragedia. L’avvocato stesso ha ricordato che emanuele de maria godeva già di alcune forme di uscita e di lavoro esterno, ma che i parametri erano stati stabiliti per limitarne al massimo l’interazione con gli altri.
Non mancano critiche relative alla possibilità che una libertà parziale, se non accompagnata da un monitoraggio rigoroso, possa esporre rischi che si concretizzano purtroppo in casi come questo. Di certo, l’episodio solleva questioni profonde sul bilanciamento tra ipotesi di recupero e tutela della sicurezza pubblica. La vicenda resta agli occhi di molti drammatica e delicata, senza risposte semplici.