Il delitto di via Poma, avvenuto a Roma nel 1990, resta uno dei misteri più noti e irrisolti della cronaca italiana recente. La vittima, Simonetta Cesaroni, fu uccisa con una serie di coltellate in circostanze ancora oggi poco chiare. Nel 2025 si apre una nuova fase dell’inchiesta, grazie a un’ordinanza del gip che sollecita un approfondimento sulle lacune lasciate dalle indagini precedenti. Questa svolta riporta al centro dell’attenzione uno dei casi che ha segnato la capitale per complessità e controversie.
Il contesto del delitto e la figura di simonetta cesaroni
Era il 7 agosto 1990 quando Simonetta Cesaroni, una giovane impiegata di vent’anni, fu trovata uccisa nel suo luogo di lavoro in via Poma, nel quartiere Prati. L’ufficio ospitava il Comitato Lazio dell’Associazione Alberghi della Gioventù, dove Simonetta si recava due volte alla settimana per svolgere mansioni di inserimento dati per conto dello studio di ragioneria che la impiegava. Quel giorno, la ragazza non fece più ritorno a casa e la sua assenza destò preoccupazione in famiglia, che lanciò subito l’allarme.
Simonetta venne trovata cadavere dopo qualche ora; aveva subito 29 coltellate. La scena, però, presentava dettagli incongruenti: nonostante la violenza dell’azione, l’ambiente sembrava stranamente ordinato, senza evidenti schizzi di sangue sulle pareti o sul mobilio. Questi particolari resero il caso ancora più misterioso. La ragazza non indossava alcun vestito, salvo i calzini, e l’arma del delitto sparì senza lasciare tracce certe. L’autopsia escluse violenza sessuale, lasciando aperto il quesito sul movente.
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Gli errori e le piste sbagliate nelle indagini iniziali
Le prime indagini furono segnate da numerosi errori che compromissero la ricostruzione degli eventi. Il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi, negò di conoscere l’indirizzo esatto dell’ufficio per diverso tempo, e questo ritardo contribuì a far scoprire il delitto solo in tarda serata. Le indagini seguirono varie piste, alcune abbandonate troppo presto, altre seguite con eccessiva convinzione.
Il portiere dell’edificio, Pietrino Vanacore, venne subito sospettato. Successivamente l’attenzione si concentrò su Federico Valle, nipote di uno degli architetti degli edifici di via Poma, che però fu scagionato da esami del Dna. Il fidanzato della vittima, Raniero Busco, rimase al centro delle indagini per tre gradi di giudizio: condannato in primo grado, fu assolto definitivamente dagli altri. La gestione frammentata e le contraddizioni emerse negli atti resero la ricerca della verità difficile e a tratti confusa.
Particolarità della scena del crimine e testimonianze sul posto
L’evento suscitò grande attenzione anche per quelle stranezze che emersero fin dai primi momenti. La stanza dove venne trovato il corpo mostrava segni di una messa in scena. La pulizia dell’ambiente, nonostante la vittima avesse perso litri di sangue, e l’assenza di tracce di colluttazione o schizzi rendevano il quadro poco coerente con un omicidio così violento.
Emilio Radice, giornalista presente sul luogo poche ore dopo la scoperta del cadavere, segnalò anomalie. “Non trovai nessuno nei pressi, nonostante il delitto fosse avvenuto poco prima.” Inoltre notò una persona con una macchia di sangue sugli occhiali; si recò in questura per segnalare quanto osservato ma si scontrò con risposte vaghe e difensive. Questo episodio alimentò il sospetto di una gestione poco trasparente delle indagini.
Il possibile coinvolgimento di poteri forti e servizi segreti nel caso
Un elemento di particolare rilievo nella riapertura del caso riguarda il legame tra gli uffici in cui lavorava Simonetta e ambienti riconducibili ai servizi segreti italiani. L’ordinanza che ha sollecitato la nuova indagine fa esplicito riferimento a presunte pressioni o interferenze da parte di poteri forti. La presenza di appartamenti e uffici legati al Sisde nell’area contribuì ad alimentare ipotesi su un possibile tentativo di ostacolare l’accertamento della verità.
La vicenda si inserisce in un contesto storico segnato da intrecci tra politica, imprenditoria e forze dell’ordine, poco prima dello scoppio di Tangentopoli. A quel tempo, ambienti legati a professionisti e istituzioni avevano un peso rilevante nella società romana, e ciò potrebbe aver influito sugli sviluppi del caso. L’avvocato della famiglia Cesaroni ha sottolineato l’importanza di approfondire queste piste, soprattutto perché si sospetta che documenti riservati custoditi negli uffici possano avere ruoli chiave.