Abiti insanguinati trovati vicino a garlasco riaccendono il caso chiara poggi a 18 anni dall’omicidio
Il ritrovamento di vestiti insanguinati vicino a Garlasco riaccende l’interesse sul delitto di Chiara Poggi, sollevando interrogativi sulle indagini e il possibile legame con il caso irrisolto.

Il ritrovamento di vestiti insanguinati vicino a Garlasco riapre i dubbi sul delitto di Chiara Poggi, con indagini incomplete e sospetti irrisolti. - Unita.tv
Il ritrovamento di vestiti insanguinati in un canale vicino a Garlasco ha riaperto il dibattito sul delitto di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007. Una donna e due conoscenti si sono imbattuti per caso in quel sacchetto dai contenuti inquietanti e hanno subito avvertito le forze dell’ordine. I dettagli della scoperta, le successive analisi e le reazioni degli esperti fanno emergere nuovi interrogativi su uno dei casi giudiziari più discussi degli ultimi anni.
La scoperta dei vestiti insanguinati: un racconto diretto di cristina e dei suoi amici
La mattina in cui la signora Cristina, il compagno e un amico agricoltore hanno trovato i vestiti è rimasta scolpita nella loro memoria. Erano in prossimità di un canale vicino a Garlasco quando l’amico, Diego, ha notato un sacchetto rosso a terra. La percezione immediata è stata quella di qualcosa che non andava, un qualcosa di sospetto. Tornati sul posto dopo aver parlato tra loro, hanno aperto quel sacchetto e si sono trovati davanti a capi d’abbigliamento con macchie scure, riconducibili a sangue.
Cristina racconta che quei vestiti non erano a brandelli o stracci, ma condizioni buone, capi griffati Marlboro e Valentino, scarpe di marca, abiti estivi e ancora utilizzabili. Quel dettaglio ha aumentato il senso di inquietudine. Il primo pensiero della donna è andato subito al delitto di Chiara Poggi, che, pur avendo quasi due decenni, rimane un caso irrisolto nella comunità locale. Dopo aver allertato le forze dell’ordine, i tre hanno assistito all’arrivo dei carabinieri. Gli agenti hanno raccolto i capi ma hanno consigliato loro di mantenere il riserbo sulla scoperta. Non ci sono state interviste, nessuna chiamata successiva, soltanto il ritiro del sacchetto e il silenzio.
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Cosa è stato accertato e cosa rimane da chiarire nelle analisi scientifiche
A seguito della segnalazione, le autorità hanno effettuato alcuni test sui vestiti trovati. Emanuele Canta, inviata di Mattino 5 News, ha chiarito che è stato utilizzato il luminol, sostanza che rileva tracce di sangue anche invisibili a occhio nudo. Il test ha mostrato una reazione positiva, ma il successivo esame specifico ha dato esito negativo. Da quel momento gli accertamenti sono stati interrotti senza approfondimenti ulteriori, anche se qualcuno suggerisce che un terzo test di conferma sarebbe stato opportuno.
Non è stato mai analizzato il sacchetto stesso, il contenitore dei vestiti, un elemento che allarga le zone d’ombra. I capi erano tutti estivi, un particolare che sembra essere stato sottovalutato nel corso delle indagini preliminari e successive. Manca un controllo più approfondito che possa escludere o confermare un legame diretto con l’omicidio di Chiara Poggi, soprattutto considerando l’assenza di esami sul DNA.
Le autorità, pur avendo riconosciuto il valore probatorio del rinvenimento, si sono fermate ai primi test, lasciando spazio ai dubbi su ciò che quel materiale avrebbe potuto rivelare.
Il sospetto del coinvolgimento con il caso chiara poggi: voci e sospetti ricorrenti
Per chi ha vissuto da vicino la vicenda o è sensibile alla cronaca nera, trovare vestiti insanguinati vicino a Garlasco non può essere che un ritorno al passato più buio. Cristina stessa ha associato immediatamente la scoperta al delitto di Chiara Poggi, in particolare per il colore del sacchetto e aspetti come le condizioni degli abiti. La sua convinzione è che quei vestiti non siano stati utilizzati per scopi banali o casuali, e che quel sangue non possa essere di origine animale: “Non ammazzo un maiale con capi di Valentino”, ha detto.
Tra coloro che hanno avuto modo di sentire la storia, alcuni credono che quei vestiti possano raccontare qualcosa legato all’omicidio avvenuto nel 2007, mentre altri pensano che sia solo una coincidenza. L’inquietudine di Cristina cresce con il ritorno all’attualità del caso Poggi, un ricordo che sembra affiorare da un passato che non vuole chiudersi del tutto.
Il mistero resta: perché quegli abiti sono lì? Perché non sono stati indagati più a fondo? E soprattutto, quale segreto contengono?
Le parole di de rensis e le critiche alle indagini precedenti sul ritrovamento
In collegamento con la trasmissione Mattino 5 News, l’avvocato Alberto De Rensis, difensore di Alberto Stasi, ha esposto un punto di vista critico sulle prove e sull’attenzione mostrata nelle fasi investigative. Secondo il legale, i vestiti appartengono a tre pittori che avevano lavorato con abiti nuovi e in buono stato. Ha evidenziato che recuperare abiti usati di persone diverse che erano insieme in un ambiente non è raro e dovrebbe suggerire prudenza prima di collegarli a un delitto.
De Rensis ha anche sottolineato che le indagini attuali sono molto scrupolose, quasi maniacali nei dettagli, ma criticano la superficialità con cui almeno una parte dell’indagine legata al sacchetto avrebbe proceduto. Ha ricordato che il colore rosso, in questo contesto, potrebbe non essere sangue ma pittura, vista la professione dei proprietari degli abiti.
Cristina, da parte sua, ha ribadito la sensazione che quel sacchetto non sia stato trattato come meritava. Ha detto di portare sempre i vestiti da buttare alla Caritas e di non lasciarli in giro, un confronto diretto con la responsabilità di chi ha abbandonato quelli vestiti insanguinati. Il dubbio che avessero qualcosa da raccontare resta, ma allo stato attuale il loro destino negli archivi investigativi è segnato da un silenzio che alimenta i sospetti e le domande aperte.