9 maggio 1978, la morte di Aldo Moro dopo 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse a Roma

Il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel 1978 segnano un capitolo oscuro della storia italiana, sollevando interrogativi su responsabilità statali e possibili influenze esterne.
L’articolo ripercorre il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, evidenziando il contesto politico, il ruolo dello Stato, i processi ai responsabili e i misteri ancora irrisolti legati a possibili coinvolgimenti esterni. - Unita.tv

Sono passati decenni, eppure il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro continua a rappresentare una ferita aperta nella storia d’Italia. Quel drammatico evento, avvenuto tra marzo e maggio 1978, ha segnato profondamente il nostro Paese, nel cuore degli anni di piombo. Moro fu sequestrato dalle Brigate Rosse al culmine di una tempesta politica e morì dopo quasi due mesi di prigionia. Alcuni aspetti di questa vicenda restano controversi, soprattutto le responsabilità di chi, dallo Stato, avrebbe potuto intervenire per salvarlo.

il contesto politico e sociale del 1978: il compromesso storico e il rapimento di Moro

Nel marzo 1978 l’Italia viveva una fase critica. Aldo Moro, leader della Democrazia cristiana, stava per portare a compimento un progetto che avrebbe potuto stravolgere gli equilibri politici del Paese: il cosiddetto compromesso storico. Si trattava dell’alleanza tra la Dc e il Partito comunista guidato da Enrico Berlinguer, una svolta politica senza precedenti nel contesto della guerra fredda. Quella giornata, il 16 marzo, avrebbe potuto segnare una nuova era ma, invece, si trasformò in tragedia.

Il rapimento e la strage della scorta

Moro stava andando in Parlamento per partecipare alla votazione decisiva quando la sua auto fu bloccata a Roma da un commando delle Brigate Rosse. Nell’assalto persero la vita cinque uomini della scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Dopo averli uccisi, i terroristi sequestrarono il presidente della Dc. Le Brigate Rosse diffusero subito un comunicato per rivendicare il rapimento, facendo partire una lunga serie di eventi che avrebbero sconvolto il Paese.

I 55 giorni di prigionia: lettere, richieste e messaggi tra lo statista e il mondo esterno

Nei giorni che seguirono, Aldo Moro rimase nelle mani delle Brigate Rosse in quella che i sequestratori chiamarono “prigione del popolo”. In quel periodo lo statista scrisse decine di lettere indirizzate a familiari, amici, politici e persino al Vaticano. Quelle parole contenevano appelli disperati per ottenere la sua liberazione.

Le Brigate Rosse, nel frattempo, diffusero nove comunicati con richieste precise: il rilascio di alcuni membri della loro organizzazione condannati dalla giustizia italiana. Moro, da parte sua, chiedeva un compromesso; invocava un negoziato per salvare la sua vita. Il governo italiano, però, mantenne una linea ferma e decise di non cedere alle richieste terroristiche. Decine di migliaia di uomini vennero mobilitati per cercare il prigioniero, con controlli intensi e posti di blocco estesi su tutto il territorio. Nonostante ciò nessun risultato concreto arrivò.

la reazione dello stato e il ruolo di Francesco Cossiga durante il sequestro

Francesco Cossiga, allora ministro dell’Interno, ebbe un ruolo centrale nella gestione della crisi. Decise di adottare una linea dura contro le Brigate Rosse e contro qualsiasi forma di negoziazione. Fu lui a guidare la repressione del terrorismo e a coordinare le operazioni di ricerca.

Il governo italiano scelse deliberatamente di non trattare, una decisione che ancora oggi alimenta dibattiti e polemiche. Il 5 maggio, quasi due mesi dopo il rapimento, le Brigate Rosse annunciarono di aver concluso il loro “processo” e di voler procedere all’esecuzione di Aldo Moro. Quell’ultimo comunicato segnò il momento in cui la speranza di una salvezza si fece sempre più sottile.

Il ritrovamento del corpo

Il 9 maggio, alle 12:30, le Brigate Nere telefonarono al professore Francesco Tritto – braccio destro di Moro – per indicare dove si trovava il corpo dello statista: in una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, nel centro di Roma, tra le sedi della Dc e del Pci. Il cadavere fu trovato sul posto alle 14.

processi, condanne e il peso della giustizia sul caso Aldo Moro

Nei mesi e anni successivi al ritrovamento del corpo di Aldo Moro, le indagini si concentrarono sulle Brigate Rosse e sui loro membri. Decine di arresti e processi portarono alla condanna di molti terroristi responsabili del rapimento e dell’omicidio.

I numeri sono significativi: 63 condanne totali, tra cui 32 ergastoli e oltre 300 anni di reclusione complessiva. Questi verdetti completarono la ricostruzione giudiziaria della vicenda, mettendo in luce le responsabilità dirette dei sequestratori.

Dopo tutti i processi ancora si parla di quegli eventi come simbolo di un periodo oscuro e violento, ma la giustizia ha espresso sentenze nette contro i protagonisti materiali dell’omicidio.

I misteri irrisolti: ombre sui servizi segreti e ipotesi di coinvolgimento esterno

Nonostante la chiarezza giudiziaria sui brigatisti, permangono dubbi su alcuni aspetti che riguardano lo Stato. Durante i 55 giorni di prigionia, le forze dell’ordine più volte individuarono la cosiddetta “prigione del popolo”, salvo poi arrivare sempre a stanze vuote. Alcuni indizi fanno pensare a fughe anticipate di informazioni, forse da parte di servizi segreti italiani, che avrebbero anticipato alle Brigate Rosse le mosse degli investigatori.

Questi elementi alimentano teorie secondo cui il governo dell’epoca – in particolare le alte sfere della Repubblica – avrebbe accettato, in qualche modo, il sacrificio di Moro per evitare compromessi politici che avrebbero cambiato lo scenario nazionale e internazionale.

Ipotesi di coinvolgimento degli stati uniti

Un altro filo riguarda gli Stati Uniti. Durante la guerra fredda, l’ipotesi che l’avvicinamento della Dc al Pci potesse spingere l’Italia verso sinistra preoccupava Washington. Qualcuno ha suggerito che gli Usa avrebbero spinto affinché non si arrivasse a un compromesso con i terroristi, forse anche influenzando la linea dura dello Stato italiano.

Nessuna inchiesta ufficiale ha mai confermato un coinvolgimento diretto, ma queste congetture restano una parte importante del dibattito storico e politico sui giorni tragici dell’omicidio Moro e sulle scelte di quel tempo.